Lettera agli amici - 23 febbraio 2014

Pubblicato il 24-02-2014

di Redazione Sermig

Cari amici, 

la vita chiede di diventare vita vera. La vita vera non sta nell’abitudine, ma nel fare bene quello che è compito di ognuno fare. Fare bene il bene è importante. Ogni cosa che facciamo può diventare capolavoro di Dio.

In questi giorni ci stanno chiedendo di allargare la nostra tenda, come dice il profeta Isaia (Is. 54,2): “Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti”. Ci vengono chiesti altri arsenali, altri servizi… Ecco che l’Oltre bussa ancora e ancora. La vita vera vuol diventare vita nuova ancora e ancora.

Se considero le nostre forze, dico di no con sicurezza. Se guardo al nostro orario quotidiano, non c’è spazio per niente altro e le 24 ore sono 24 ore reali. Ma mi domando: chi ci chiede di allargare la nostra tenda, per quale motivo lo fa? Chi lo spinge a pensare proprio a noi? Cari amici, non so ancora dare una risposta. La risposta della mia logica è già data: è impossibile. Ma vorrei dare la risposta che dentro di me è ancora sepolta, quella che viene dal pensiero di Dio.

Ogni attimo lo viviamo con sulle labbra e nel cuore la preghiera dell’abbandono: “Signore, fa' di me quello che vuoi. Signore, Tu mi conosci, voglio fare quello che piace a Te, non a me. Signore, io non ho forze. La mia forza sei Tu. La mia storia m’insegna che nell’abbandono Tu mi parli sempre. Adesso non so cosa rispondere. Non so cosa è giusto per Te. Allora parla Tu in me. Riempimi Tu la mente e il cuore. Farò quello che mi viene chiesto solo se capirò che attraverso queste nuove domande sei Tu che vuoi agire in me, in noi”.

Cari amici, all'imprevisto ci siamo abituati e nello stesso tempo no, l’imprevisto non è mai abitudine. Ecco un nuovo imprevisto che ci chiede di vincere l’abitudine precedente, di metterci nuovamente a disposizione.
La Bibbia è piena di esempi di uomini e donne che si sentivano piccoli, incapaci, inadeguati ma avevano il cuore pieno di Dio ed erano pronti a fare la sua volontà: Abramo rispose "eccomi", Isacco rispose "eccomi", Giuseppe rispose "eccomi", Giacobbe rispose "eccomi", Mosè rispose "eccomi", Maria rispose "eccomi" e poi oltre … E anche noi siamo a disposizione solo di Dio, con una parola sola, quella che diamo a Lui: “Il vostro “sì” sia sì, e il vostro “no” sia no” (Gc 5,12).

Allora non c’è che da fare nuovamente un atto di abbandono a Lui di fronte a queste nuove decisioni: “Affida al Signore le tue opere e i tuoi progetti avranno efficacia” (Pr 16,3). Il nostro abbandono è la gioia di Dio, lo abbiamo sperimentato nella nostra storia: “Fammi conoscere la strada da percorrere, perché a te si innalza l’anima mia” (Sal. 143,8).

Cari amici, abbiamo scritto da tempo la Lettera alla coscienza, una grande apertura alla speranza ma anche un atto d’accusa. Lo sapete, vorremmo che quella lettera bussasse alla coscienza di tutta l’umanità. E’ affidata a Dio, a suo servizio: Lui la farà camminare tra le mille difficoltà che potrà incontrare.
A Firenze la presenteremo nel ricordo di Giorgio La Pira, intanto prepareremo il Mondiale dei Giovani in una città che ancora non conosciamo. In quale città, in quale angolo di mondo dobbiamo lanciare quel nostro grido di fiducia? E’ la domanda della nostra preghiera in questo tempo di attesa.

La luce arriverà solo se c’è reale abbandono, e nessun giudizio, nessuna logica precostituita, nessun secondo fine. E così le altre risposte che cerchiamo nella fede. Non abbiamo forza, lo sappiamo. Ma la forza ha trovato casa sempre e solo nella nostra debolezza: “Mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10). Dovremmo poter dire: non noi, Qualcuno vive in noi: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me”
(Gal 2,20)
.

E’ un’esperienza che si può ripetere. Nella mia vita si è ripetuta tante e tante volte, ma questa volta sento che diventi esperienza di preghiera e di fede di ognuno di noi, di tutti noi insieme. Un sì corale, unanime e concorde. Il sì di una fraternità.

Viviamo così questo tempo che ci prepara alla Pasqua e il Signore darà la sua risposta: “Si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa”(Is 35,5-6).
Questa lettera nasce dalla gioia che ho nel cuore di vivere sempre da abbandonati in Dio, di andare verso la pienezza che non è cercare cose straordinarie ma vivere la normalità del sì, la quotidianità dell’eccomi.

Buon abbandono a tutti.

Ernesto Olivero


PS
Cari amici che ci seguite nella preghiera da poco, da tanto tempo, cari amici del Sermig, cari amici della pace, cari amici della clausura, questa lettera è per chiedervi di unirvi a noi per un tempo di silenzio, di preghiera, per delle importanti decisioni da prendere. Con tutto il cuore e con tutta la mente vorremmo fare la cosa giusta secondo Dio.
 
 
 
 

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