Francesco compie 80 anni

Pubblicato il 10-12-2016

di Ernesto Olivero

IL SOGNO DELL'UOMO ATTESO
Articoli di Ernesto Olivero su Portaperta supplemento di Avvenire - Sabato 10 dicembre 2016
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IL SOGNO DELL'UOMO ATTESO

Quando è stato eletto, ho sentito di chiamarlo semplicemente “padre atteso”.
Aspettavo davvero un papa come Francesco e dal primo momento ho intravisto in lui il tratto di una profezia che avevo nel cuore, coltivata nell'amicizia con Giovanni Paolo II, nell'incontro con la saggezza e la profondità di Benedetto XVI: la profezia di una Chiesa povera di beni e ricca di misericordia. Una chiesa scalza come si addice a un nuovo Francesco. Questi anni di pontificato, la giovinezza che rimane anche in un ottantenne, mi ricordano che il tempo e l'età non contano. Sono solo opportunità per crescere, per dare forza a un ideale, per imparare ad amare, per costruire, per coltivare un “sogno” con i piedi per terra e lo sguardo verso il Cielo.

Papa Francesco ha saputo tradurre la profezia di una Chiesa vicina ai lontani con l’abbondanza di parole, gesti, riflessioni che hanno caratterizzato il Giubileo appena concluso. Soprattutto, con il richiamo alla misericordia che è lo stile di Dio. Anzi, il suo nome. La misericordia è realtà, concretezza, tenerezza, apertura continua agli altri. Non è lassismo, non è negazione dei propri ideali, ma braccia e cuore sempre aperti.

Chi vive di misericordia sa che ogni forma di giudizio è come una condanna a morte. Lo sa perché conosce prima di tutto le proprie miserie, le proprie difficoltà. Conosce l'umiliazione, conosce la fatica e sa che quando si fa esperienza dell'umiliazione e della fatica più di un giudizio conta lo sguardo, una presenza amica, un incoraggiamento. Conta l'amore che indica la possibilità di cambiare, che ti fa risorgere, che nella conversione e nell'umiltà ti fa diventare un maestro di saggezza. Penso siano questi i miracoli della misericordia.

Ricordo benissimo uno dei miei primi incontri in carcere. Avevo davanti una ragazzina di diciotto anni che aveva ucciso. Non la giudicai, la abbracciai per comunicarle tutta la mia disponibilità. Lei mi raccontò la sua storia e alla fine mi chiese con un filo di speranza: “Potrò mai diventare come i tuoi ragazzi?”. Quell'incontro mi fece capire che non bisogna mai negare una possibilità. E papa Francesco ce lo ha ripetuto tante volte.

Nel nostro mondo, non è necessario uccidere per essere condannati a morte. Mi viene in mente la storia di una donna che scoprì di avere un figlio terrorista. Erano gli anni Settanta, le Brigate Rosse avevano scelto la strada della clandestinità. Tanti giovani insospettabili scelsero la cosiddetta lotta armata. Padri e madri da un giorno all'altro vedevano sparire i figli. Mai avrebbero immaginato la verità. In tanti mi venivano a parlare. « Ernesto, dove sarà andato mio figlio? ». Io soffrivo con loro. Capitava poi che la verità piombasse come un macigno nella vita tranquilla di queste persone. Ricordo una povera mamma, famiglia bene che viveva sulla collina torinese. Una mattina, ascoltando la radio, sentì di un’operazione antiterrorismo con diversi arresti. In prigione era finito anche il figlio. Momenti di disperazione. Quella donna non sapeva a chi rivolgersi. Il gesto fu istintivo: si preparò in fretta, prese la macchina e, sconvolta, andò in chiesa per avere conforto. Fu una doccia fredda. C’era la messa e il celebrante dedicò tutta l’omelia a quella vicenda. “Che vergogna, un terrorista tra noi! È uno scandalo per il nostro paese!”. Quella donna svenne davanti a tutti. Non mise più piede in chiesa. Qualche anno dopo ci conoscemmo all'Arsenale e, forse, proprio grazie ad un luogo ancora poco connotato come l’Arsenale della Pace, riuscì a comprendere che Dio non le aveva chiuso la parta. Quando penso a questa mamma capisco bene quando papa Francesco parla di una Chiesa che sia luogo di non giudizio, ma luogo di riconciliazione con Dio. Il suo sguardo profetico ha visto la sofferenza di tanta gente ed ha voluto che la Chiesa tornasse ad essere per tutti l’abbraccio di una madre. Papa Francesco lancia così la Chiesa nelle sfide del tempo che viviamo, nel mondo, con gli strumenti giusti per leggere le nuove sfide, i nuovi segni che vengono sempre dalle persone che si incontrano.

Ricordo un ragazzo omosessuale che rimase colpito dal nostro stile di vita. Un giorno mi disse: “Ernesto, ma io sono tagliato fuori da una scelta di vita come la vostra? Per me c’è spazio?”. Lo ascoltai con profondo rispetto. Ascoltavo e pregavo. Risposi: “Nel Vangelo Gesù ci indica le “beatitudini”; è con queste parole che ognuno di noi è chiamato a confrontarsi: beati i puri di cuore, beati i misericordiosi, beati i miti. È una strada in salita per ognuno, ma incontriamo Dio solo se ci sforziamo di percorrerla”.

Questo ragazzo, come tanti altri, come tante altre storie mi confermano nella profezia di una Chiesa con la porta aperta: “Non bussate, c’è posto, è qui la misericordia che cercate. È qui il senso di tutto”. Quando riusciremo a fare nostro questo ideale di Gesù, entreremo nella trascendenza e accoglieremo pienamente la chiamata ad essere buona notizia per tutte le persone che bussano: peccatori, uomini e donne lontani dalla fede, con sofferenze indicibili. Una Chiesa che si china, che ascolta, che comprende, che non giudica e non mette fuori. Una Chiesa che vive la verità, che predica e sa indicare con la testimonianza che il bene fa bene e apre alla vita, il male chiude e fa male, consapevole che attraverso un no detto senza frustrazione è possibile scoprire doni immensi. La Chiesa dovrebbe essere un ponte continuo: qualunque errore, qualunque limite, qualunque dubbio devono poter trovare una chiave di misericordia.

Papa Francesco ci sta portando a camminare su questa strada. La Chiesa scalza parte da tanti piccoli gesti che rendono più riconoscibile il volto di Dio. Francesco non è solo. Siamo in tanti a sognare con lui, papa atteso.

Ernesto Olivero

 

 

 

 

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