Malati di gioco

Pubblicato il 13-06-2013

di Gian Mario Ricciardi

di Gian Mario Ricciardi - È la crisi peggiore, anche di quella del ‘29 che noi non abbiamo visto. Passerà, ma dopo averci devastati dentro.

La recessione ci sta rubando anche i sogni e quando anche i pensieri non sanno più volare, ci si attacca alle illusioni. Sono 800mila in Italia le persone malate del gioco. Due milioni quelle a rischio di cadere nel baratro, 300mila quelle che neppure con l’aiuto di medici ed esperti forse ce la faranno. Saranno una delle eredità della crisi. Sette su dieci sono uomini sposati, il 51 per cento ha un lavoro. Hanno dai 30 ai 50 anni, il periodo in cui ognuno dà forma alla sua vita.

Sì, certo, si gioca di più al Sud dove, storicamente, le delusioni hanno fatto strage di tutto, anche della memoria, ma il 33 per cento è al Nord, in quel Nord dove sono crollate le speranze nelle piccole e medie aziende o dove molti imprenditori hanno chiuso e sono andati all’estero. Pesante eredità perché mentre i giocatori compulsivamente pigiano i bottoni delle slot-machine, almeno 49 clan (così dicono le procure) investono e cercano di mettere le mani su bar, sale, bingo.

Riemergeremo dalla sabbia che sta desertificando le nostre città, le nostre periferie, i nostri paesi, ma sul terreno resteranno molti malati dentro.

E altri rischiamo di trovarceli in casa. Perché i ragazzi ci guardano sempre, anche quando non ci sembra affatto. E giocano anche loro: troppo. Invece di inseguire le fantasie e le utopie che hanno imbevuto le nostre infanzie, pubertà, adolescenze, giocano.

Dicono i ricercatori dell’Eurispes che nel 2012 il 12 per cento di quelli che vanno dai sette agli undici anni lo fanno al computer per due ore al giorno. E tra gli adolescenti le percentuali esplodono al 40 per cento.

Tutte le asl d’Italia confermano che gli interventi su giovani che abusano di internet, che s’intossicano di facebook, sono in aumento.

Perché lo fanno? La risposta è complessa: ci sono motivi specifici e individuali, ci sono influenze ambientali e debolezze di carattere, ma c’è altro. Ci sono le famiglie lasciate sole, durante la crisi, a risolvere tutti i problemi. C’è la scuola ridotta scientemente ad un colabrodo. C’è la Chiesa che colpevolmente per anni ha abbandonato (e chiuso) gli oratori lasciando i giovani sulle panchine. C’è lo Stato che con tagli lineari ha levato i soldi per far girare le strutture dei giovani. C’è rimasto il deserto. Ma i genitori si stanno rimboccando le maniche, i salesiani e qualche parroco stanno rilanciando gli oratori, qualche amministratore (pochissimi per la verità) ha intuito che dai ragazzi si riparte. Insomma ci sono le forze per una lenta rinascita. E quello che verrà, sarà un mondo migliore. Forse.

dalla rubrica di NP - TODAY

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