Vie d'uscita

Pubblicato il 03-09-2014

di Gabriella Delpero

di Gabriella Delpero - Conosco Matteo da quasi due anni: è un bambino sensibile ed intelligente, con tanta voglia di correre e giocare ed una grande tristezza in fondo agli occhi. Ha compiuto 10 anni nella scorsa primavera e frequenta la 5° elementare. Ha un fratello maggiore di due anni e ha perso improvvisamente il papà nel novembre di tre anni fa. La mamma racconta che la morte inaspettata del marito è stata un trauma gravissimo per tutta la famiglia: ella stessa ne è rimasta profondamente segnata, anche perché è stata lei a cercare personalmente di rianimare l’uomo (stando al telefono con il medico che la istruiva) in attesa dell’arrivo dei soccorsi, ma è stato tutto inutile. I due figli hanno assistito in diretta alla morte del papà, avvenuta in casa, al mattino, all’ora del risveglio.

Da allora Matteo mostra seri problemi di comportamento, soprattutto a scuola: disturba le lezioni, è diventato aggressivo nei confronti dei compagni e polemico nei confronti delle insegnanti, alle quali risponde con sarcasmo e sufficienza. Lavora poco e male e raggiunge quindi risultati molto al di sotto delle sue potenzialità. Matteo e la mamma sono diventati bersaglio di critiche e rappresaglie da parte dei compagni di classe e dei loro genitori, sempre più esasperati per gli atteggiamenti provocatori del bambino, diventato ormai per tutti la pecora nera. “Qualsiasi cosa succeda, è sempre colpa mia!” si lamenta dal canto suo Matteo, che nega ogni responsabilità anche quando viene colto in flagrante e tende a mentire in modo piuttosto ingenuo.

Le maestre dicono di “averle provate tutte” con Matteo: dichiarano la loro impotenza e delusione, non riuscendo a nascondere anche un pizzico di rabbia nei suoi confronti e in quelli della mamma. A loro parere quest’ultima tende infatti a giustificarlo e proteggerlo esageratamente, invece di schierarsi dalla loro parte. Inoltre madre e figlio sembrano non mostrare alcuna gratitudine per tutto ciò che è stato fatto in loro favore al momento del lutto.

La relazione è bloccata da entrambe le parti: bambini ed adulti si sono cristallizzati nelle loro rispettive posizioni e nessuno pare voler o poter fare il primo passo verso l’altro. Matteo è alle prese con la sua disperazione per la perdita improvvisa ed assurda del papà: la ferita è fresca e profonda, il senso di solitudine e la paura si sono fatti più acuti col passare dei mesi, l’incredulità si è trasformata in rabbia, la rabbia sfocia in comportamenti distruttivi. I comportamenti distruttivi sono interpretati dagli altri come attacchi personali, provocazioni, sfide: ognuno reagisce come può, ma certo prevale il rifiuto, l’allontanamento, il desiderio di vendicare l’offesa ricevuta.

Così si perpetua un circolo vizioso, in cui chi è ferito cerca a sua volta di ferire e chi attacca viene poi a sua volta attaccato, e tutti cercano di collocare una corazza sul proprio cuore per proteggersi dal dolore. Un dolore sordo, muto e cieco. Un dolore antico e profondo, che non trova parole, che non cerca vie d’uscita, che non vede la luce nemmeno in lontananza. Un dolore rifiutato e detestato, che più si cerca di contrastare più pare farsi lacerante e crudele.

Tutti noi abbiamo bisogno di uno spazio, di un clima di fiducia che ci consenta di parlare liberamente, di un rifugio sicuro in cui il nostro cuore trovi il modo di aprirsi e di comunicare ciò che più lo angoscia e lo tormenta. Anche i sentimenti più negativi e cupi devono trovare una via di espressione, devono potersi fare largo in mezzo all’ipocrisia e all’indifferenza che ci circondano. Sì, abbiamo sempre più bisogno di amici – e magari di un Amico – insieme ai quali attendere che al pianto segua la gioia.

Genitori e figli - Rubrica di NP novembre 2012

 

 

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