Uscire in verde

Pubblicato il 10-06-2016

di Carlo Degiacomi

di Carlo Degiacomi - Al centro di ogni discussione politica e sociale dovrebbe esserci in Italia la capacità di avanzare proposte che affrontino la questione della creazione di lavoro collegata alle veloci modifiche imposte dalla globalizzazione e dalle tecnologie. Per ora si continua a evocare l’intervento dello Stato e si fa poca cultura imprenditoriale nei giovani. A questo proposito Ultimi, un recente libro edito da Einaudi, analizza i principali indicatori italiani a confronto con altri Paesi per scoprire che siamo spesso maglia nera. Cito per una volta Ernesto Olivero che insiste sempre sulla necessità che per i giovani vi siano riferimenti credibili negli adulti: sono purtroppo pochi gli imprenditori piccoli e grandi che oggi possono essere da noi un esempio di innovazione sostenibile. Consideriamoli preziosi, ma cerchiamo di capire se si può risalire la china.

Un tenue filo verde.
Vorrei suggerire ai lettori di seguire costantemente un tenue filo verde rivolto in particolare ai giovani, che anche come colore può ridare speranza. Vi sono nell’economia e in Italia spazi per aziende verdi sul serio (non green-washing!)? La green economy può svilupparsi e fornire anche green jobs? Vi sono esperienze di riferimento? Vi sono fondi europei e statali che possono aiutare? Vi sono ricerche in merito che forniscano dati permanenti? Quale formazione dei giovani è necessaria per aiutare questa tendenza?

Ricerche sulla Green economy parlano di aziende Core green e Go green.
In Italia una recente relazione annuale sullo stato della Green Economy propone una distinzione tra aziende Core green e Go green: le prime producono beni e/o servizi di elevata valenza ambientale verificate con standard internazionali; le seconde adottano scelte ambientali nei processi produttivi. In media il 42% delle aziende nei vari settori apparterrebbe oggi a questa duplice distinzione. I dati economici dimostrano che le imprese green hanno reagito meglio alla crisi, ma i punti critici restano. Ad esempio dal 2014 con il taglio degli incentivi si ha una forte crisi delle energie rinnovabili, la spesa in ricerca ecologica diminuisce, i risultati occupazionali non sono così chiari e in netta crescita come si sperava.

L’aiuto della Comunità Europea è interessante.
Come si è attrezzata l’Italia per utilizzare bene i fondi UE per finanziare l’ecoinnovazione e l’imprenditorialità ambientale? I filoni hanno vari nomi: CIP, Life +, Horizon 2020, EcoAP…
Non interessa qui entrare in aspetti troppo tecnici, ma la credibilità specie in alcune zone italiane per gestire con apertura di prospettive i fondi europei è davvero scarsa.

Le start up spesso si tingono di verde.
L’interesse delle start up verso i temi ambientali è molto alto. Il Ministero dello sviluppo economico e l’Istat hanno da poco iniziato una ricerca sulle start up innovative italiane che sono registrate nella sezione speciale del Registro delle imprese. Anche in questo caso saremmo vicini a superare la retorica sulle quantità ed a esaminare la qualità, il reale funzionamento di queste esperienze.
Un ebook pubblicato da Startupitalia racconta l’esperienza di 100 imprese startup: molte iniziative riguardano l’innovazione ambientale.

Un salto di qualità e di coordinamento subito per non perdere il treno verde.
Le imprese verdi non sono ancora il motore della ripresa nazionale. Per ora storie e buone pratiche non superano il livello di esperienze di nicchia. Manca un vero coordinamento tra dipartimenti universitari e ministeri. L’ente locale preferisce rilanciare proprie iniziative senza confrontarsi.
Le università e i politecnici collaborano tra di loro o appaiono concorrenti? In Italia non c’è una regia coordinata che comprenda tutte le istituzioni, enti, associazioni di categoria, sindacati nel tentativo di fornire indicazioni e fondi scegliendo priorità e orizzonti credibili.

I giovani e le famiglie devono decidere che la formazione verde è la base per una nuova economia, per trovare lavoro, per modificare i propri consumi.
Chi formare, come formare, come formarsi, come creare nuove figure professionali, sono interrogativi aperti che chiedono una spinta forte da parte di studenti e famiglie capaci di mettere al centro lo studio e la creatività. Non ci sono altre possibilità.
I giovani possono darsi da fare. Gli esperti ci indicano settore per settore – ad esempio energia, fonti rinnovabili, cura dei territori, architettura sostenibile, agricoltura biologica – gli spazi professionali aperti. I siti e le App che propongono l’incontro tra domande e offerta stanno crescendo. Interessante ad esempio analizzare le nuove figure di consulenti energetici in ogni settore, con le loro molteplici conoscenze e con la possibilità di ottenere risultati a breve termine, modificando criteri, parametri, metodi, materiali, proposte organizzative, trasformazioni di percorsi produttivi, ricerca sui cicli di vita.

Quanto ancora per introdurre l’ambiente ad ogni livello scolastico?
A giugno si chiuderà il primo anno scolastico dedicato ai temi ambientali, ma ancora manca una vera formazione di base interdisciplinare che faccia emergere dai curricola le varie tematiche ambientali e la loro importanza. Molto dipende dai dirigenti scolastici e dagli insegnanti. Mentre gli altri Paesi, in particolare il Nord Europa, stanno correndo, l’Italia sta perdendo tempo. Anche a seguire questo filo verde saremo gli ultimi?

 

 

 

 

Rubrica di Nuovo Progetto

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