Digliene due

Pubblicato il 11-03-2017

di Flaminia Morandi

Flaminia Morandi - MINIMAdi Flaminia Morandi - Nel IV secolo, in tempi storici più vicini a Gesù, la parola monaco voleva dire semplicemente uomo nuovo, cioè persona unificata, non doppia o divisa in se stessa: monos. Non una condizione straordinaria: la normalità di uno che voleva essere cristiano. L’identikit del monaco-uomo nuovo lo disegna Evagrio, diacono e segretario di Gregorio di Nazianzio quando era stato vescovo di Costantinopoli e, quando Gregorio si era ritirato, monaco nei deserti egiziani di Nitria e di Celle, su consiglio della sua ammas o mamma spirituale Melania.

Per Evagrio, monaco è uno “separato da tutto e a tutti armoniosamente unito”, che “considera tutti gli uomini come Dio dopo Dio”, che “guarda alla salvezza e al progresso di tutti con gioia serena, come se fossero propri” e “si considera rifiuto di tutti”. Invece sappiamo per averne fatto esperienza che spesso l’invidia è un sentimento che cova nelle comunità cristiane, dalle famiglie ai consigli parrocchiali. Le passioni insorgono nei rapporti umani. Ce ne sono alcune, quelle del corpo come la gola e la lussuria, che con l’età impallidiscono fino a scomparire; ce ne sono altre, quelle dell’anima come l’ira, il rancore, l’invidia, la gelosia, la vanità, l’orgoglio, che durano fino alla morte.

Per Evagrio tutte sono “contro natura” , perché la persona umana è stata creata per il bene, che è stare in “rapporto diretto e immediato con Dio”. Sorprendentemente per lui fra tutte il vizio peggiore è l’ira, “vino dei draghi”, cioè dei demòni: tanto che secondo lui, “chi ha dominato l’ira, ha dominato i demòni”. Il motivo è molto semplice: il cammino verso Dio dietro a Gesù che ci ha mostrato il suo volto, è un cammino verso la piena visione, verso il vedere la luce; l’ira, invece, acceca. Chiaro: tutti i vizi sono collegati, e “il primo germoglio del diavolo” è l’orgoglio (tanto che spesso un attacco d’ira deriva da una nostra fantasia di onnipotenza frustrata), ma per tagliare il germoglio appena nasce, è dall’ira che bisogna cominciare.

Perché? Perché l’ira impedisce di pregare: durante la preghiera fa affiorare alla mente “il volto di colui che mi ha fatto torto o mi ha disonorato”, e “ciò che l’intelletto contempla costantemente nella preghiera, può essere considerato un dio”. Chi è visitato dal rancore dunque è un idolatra che divinizza il volto del nemico. Prega davanti a lui, non davanti a Dio. Allora, dice Evagrio, rivolta la tua ira contro chi ti tormenta, il diavolo, “digliene due”, contro di lui “dà sfogo alla tua rabbia”. Quella sì che è ira buona, ira che prega, ira che ti fa “vedere” Dio.

Flaminia Morandi
MINIMA
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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