Il nuovo nome della pace
Pubblicato il 26-03-2018
di Mauro Palombo - Sono trascorsi cinquant’anni da quando la Populorum Progressio, l’enciclica di Paolo VI pubblicata il giorno di Pasqua del 1967, proclamò questo principio. La promozione umana autentica come semina di verità, di giustizia, per raccogliere pace.
Era anche il tempo in cui il Sermig viveva i suoi primi anni. Nato proprio per concretizzare un sogno: sconfiggere la fame con opere di giustizia e di sviluppo. In più di 50 anni è stato possibile realizzare oltre 3.400 progetti e interventi di sviluppo e un centinaio di missioni di pace in Paesi in guerra. Sviluppo ovviamente inteso non solo come crescita di disponibilità materiali – per quanto necessarie e strumento di vita – ma crescita, benessere integrale, della persona umana; la sua dignità. Crescere nella capacità di essere, scegliere, agire, realizzare.
La crescita della dignità dei miseri, degli “esclusi”, va di pari passo con la nostra crescita personale nella consapevolezza. Condividendo nel cuore le loro storie e le loro vite, abbiamo capito che per cambiare il mondo la chiave è ritrovare uno stile di vita sobrio e solidale, e una visione del mondo che ci faccia «vivere semplicemente perché tutti possano, semplicemente, vivere», come ci ricordava dom Luciano Mendes. Sono la fraternità, la solidarietà, la gioia di poter offrire agli altri i doni ricevuti dal Signore, che di tempo in tempo hanno potuto dare concretezza a progetti nati dall’incontro con persone e situazioni.
Le “missioni di pace” nel corso degli anni sono state svolte in situazioni di conflitto e violenza, per favorire il dialogo tra le parti, e portare aiuti per i bisogni più urgenti delle popolazioni coinvolte. Polonia, Libano, Mozambico, Iraq, Rwanda, Somalia, Giordania (profughi), Afghanistan, Bosnia, Palestina, Israele… Un primo contributo in materiali e attrezzature di prima necessità a disarmare le tensioni che nascono dalla miseria, anche quella più estrema, cercando di fronteggiare i bisogni più urgenti delle vittime di queste immani calamità “umane”. E restituendo il senso di non essere soli. Sono poi sovente l’occasione per incontri, che possono preparare ulteriori interventi e possibili altre forme di presenza: per dare nel tempo un contributo di azione sulle cause stesse dell’emergenza. Che tendono ad essere dimenticate dopo il momento immediato.
Ma ogni progetto e intervento nasce da un incontro che interpella, che può dare frutti importanti. Ed ha come fine ultimo di contribuire a creare relazioni virtuose tra le persone, costruire o ricostruire una comunità coesa e solidale. Non pochi sono stati condotti, continuano, in effettive situazioni di conflitto nelle quali cercano di dare risposte concrete ai bisogni della gente, e costruire allo stesso tempo condizioni di speranza reale di un futuro di serenità.
La presenza dell’Arsenale dell’Incontro a Madaba, Giordania, ha anche questo significato. In un punto cruciale per costruire dialogo e convivenza in Medio Oriente, prossimo a tragici conflitti e che ne ospita molti dei profughi, offre attività scolastiche e occupazionali rivolte a portatori di handicap, ed è luogo di aggregazione e di spiritualità per famiglie, giovani, volontari. Nel servizio ai sofferenti, tutta l’attività è focalizzata sull’incontro tra culture e religioni diverse, tra giovani e adulti, per ricercare un dialogo concreto, che metta al centro i più deboli, che aiuti a superare le divisioni e prepari la pace tra culture e religioni diverse.
Butare è una piccola città nel sud del Rwanda. Lussureggiante angolo d’Africa dove nel ’94 si è consumato il genocidio dei tutsi da parte degli hutu, a loro volta poi sconfitti. Dove il male ha superato ogni limite, la speranza ha cercato di andare oltre, nel piccolo ospedalino nutrizionale Nutripa. Rientrate subito dopo la forzata evacuazione le volontarie che lo avevano avviato, abbiamo potuto contribuire a riequipaggiarlo e sostenerne lo sforzo per anni.
Molte piccole vite sono state salvate, ma anche una comunità: sono nate cooperative tra le donne, molte le vedove; installati mulini, promossa una migliore alimentazione. Frutti rimasti, mentre Nutripa è divenuto parte dell’Ospedale Universitario.
R.D. Congo – Kiwu. Quaranta anni di dittatura e un conflitto che dal ’98 al 2002 ha coinvolto molti Stati di tutta la regione facendo milioni di vittime, proseguono in una guerra, ora strisciante, ora in piena esplosione, mai cessata nell’est della R.D. del Congo. A Bukavu e Uvira, da oltre vent’anni è la collaborazione con le suore di san Giuseppe di Torino, i padri Saveriani, e altri. Scuole, dispensari, accoglienze, aperte anche nell’emergenza più tremenda, lavorano per ricostruire vite spezzate dalla violenza, e offrire un futuro a bambini e giovani che sono venuti al mondo e cresciuti nel conflitto. Un soccorso fatto di presenza paziente e amorevole: sola chiave per riaprire spiragli di vita, dimostrare che è possibile un futuro nonostante quanto accaduto, e uno scenario ancora tanto incerto.
Conflitti e violenze si manifestano con grandi sofferenze anche senza un vero e proprio scenario di guerra. I progetti di sostegno alle vittime dello Tsunami in India hanno incontrato la triste situazione dei dalit – i senzacasta o intoccabili – duecento milioni di persone cui sono in pratica negati i diritti umani più fondamentali. Molti sforzi sono stati destinati per le necessità di alcune comunità, ma proprio come segno di una dignità più ampia da restituire per ricomporre una grande e penosa frattura sociale.
I molti progetti e interventi in Georgia nell’arco di oltre vent’anni – la casa per bambini di strada, attrezzature per laboratori e scuole, molti materiali per soccorsi di emergenza – si inseriscono in uno scenario di devastanti conflitti, ora latenti ora riesplosi, che hanno alimentato grandi emergenze creando distruzioni, ondate di profughi, e aggravando le condizioni di molti poveri – bambini, anziani, famiglie – molto vulnerabili. I progetti svolti con Caritas e altre organizzazioni ecclesiali, sono sempre stati anche un segno reale e ben riconosciuto di volontà di vicinanza ecumenica con la comunità ortodossa; che semina un frutto di pace.
Desideriamo sfruttare ogni opportunità per proseguire l’aiuto alle iniziative dei padri cappuccini in Eritrea, e degli amici salesiani – don Vincenzo e Jim Comino – nel Sud Sudan. Anche qui in conflitti esterni e interni che non danno tregua da decenni, aiuto di emergenza, ma anche attraverso scuole, centri comunitari e sanitari, un segno nuovo di presenza e di relazione.
Nell’estremo sud delle Filippine, nell’isola di Basilan, è il progetto per i bajau, gli “zingari del mare” che da oltre dieci anni sosteniamo. Un percorso di sviluppo umano integrale che rompe un lungo isolamento e sta dando frutti preziosi, ma sempre messo a rischio dalla ricorrente e sanguinosa guerra combattuta tra le forze governative e i guerriglieri musulmani o semplici fuorilegge. Ciò rappresenta una concreta e costante minaccia per la gente e per chi con loro opera: il progetto vive innanzitutto del coraggio dei padri Cclarettiani e degli operatori che vi si dedicano, tutti volontari, assicurando una presenza che è segno vivo per tutta la comunità locale.
In Bangladesh i progetti di scolarizzazione e promozione umana a favore di bambini si sono aperti ora anche a sostenere associazioni amiche in un servizio di assistenza sanitaria per i profughi Royinga rifugiati nel sud del Paese.
Mauro Palombo
NP FOCUS
foto: Max Ferrero