Una vita per gli ultimi

Pubblicato il 15-04-2018

di Lucia Capuzzi

I 90 anni di dom Pedro, vescovo del Brasile.
«Alla mia età tutto sta dentro una preghiera. Oggi, già in pensione, contemplo la mia vita relativizzando tutto ciò che è relativo, in me, nella società, nella Chiesa, ma al tempo stesso assolutizzando ciò che è assoluto: Dio e l’umanità… Impiego i miei giorni “vivendo”, cioè “convivendo” che non è poco. Prego, dormo, leggo, scrivo, mangio, rispondo alle lettere, ricevo visite. E aspetto». Dom Pedro Casaldáliga ha scritto questo breve commento per il giorno del suo 90esimo compleanno, il 16 febbraio scorso.

Certo, non di suo pugno, il “fratello Parkinson” a fatica gli consente di muoversi. Bensì per mano dei quattro agostiniani che accompagnano il vescovo emerito di São Felix do Araguaia nell’ultimo tratto della sua lunga vita. Dedicata agli ultimi dell’America Latina e del Brasile, Paese dove, nel 1968, il religioso clarettiano – allora 40enne – si è trasferito dalla Catalogna per portare la Buona Notizia in una delle parti più povere del Mato Grosso. La Valle dei dimenticati, l’ha ribattezzata il missionario. Là, analfabetismo e fame straziavano la vita degli abitanti, forzati a lavorare in condizioni di semischiavitù nei latifondi dell’oligarchia.

L’incontro con l’oppressione più brutale “ha costretto” Casaldáliga – solo Pedro lo chiamano nel minuscolo villaggio nel cuore dell’Amazzonia dove risiede – a prendere sul serio gli insegnamenti evangelici, alla luce del Concilio Vaticano II. Fino alle estreme conseguenze. Nominato vescovo da Paolo VI nel 1971, dom Pedro diventa l’instancabile difensore dei diritti degli ultimi. Gli indigeni, dunque, in primo luogo. E i contadini senza terra.

Degli ultimi, Pedro ha condiviso – e tuttora condivide – la vita. Fino a scegliere un anello vescovile di “tucum”, albero amazzonico da cui, ai tempi della colonia, gli schiavi creavano le fedi nuziali. Spesso dovevano farlo di nascosto perché i “padroni” non sempre autorizzavano le nozze. Difficilmente, però, questi ultimi notavano l’umile anello.

Il cerchio di legno scuro – emblema, anche grazie all’esempio di Casaldáliga, dell’opzione preferenziale per i poveri – risaltava sulle dita candide e tremanti del vescovo emerito quando ha partecipato alla messa celebrata per lui dal successore, monsignor Adriano Ciocca. Alla riunione hanno partecipato i “superstiti” di quel periodo turbolento: i primi agenti della pastorale, i catechisti, i collaboratori della diocesi. È stato quest’ultimo a ricordarne – nella chiesa stracolma – l’innovativo lavoro pastorale, fondamentale per “iniziare a strutturare socialmente il territorio”.
Le scuole di alfabetizzazione della diocesi, la promozione dei diritti sindacali degli agricoltori, la lotta per la riforma agraria – tuttora incompiuta – sono alcune delle molto battaglie di questo «ribelle con causa, quella di Gesù», come si autodefinisce. Una causa, ha detto più volte, che per lui vale “più della vita”.

Per l’occasione del compleanno, dom Pedro è riapparso in pubblico: si è mostrato sorridente e in salute discreta.
Non si faceva vedere dal luglio 2016, quando era andato, in sedia a rotelle, alla marcia in ricordo del gesuita João Bosco Burnier, ucciso nel carcere di Riberão Bonito l’11 ottobre 1976 per aver cercato di difendere due prigioniere dalle sevizie degli sgherri della dittatura brasiliana. Dom Pedro era con lui quel giorno: il corpo di padre João Bosco, però, si è frapposto tra il vescovo e la pallottola, salvandogli la vita. Da allora, la morte l’ha sfiorato molte altre volte. Casaldáliga è sopravvissuto a dieci attacchi di malaria, sette sparato- rie, cinque intenti di espellerlo dal Paese. Già anziano e malato, nel 2012, dom Pedro ha dovuto passare diversi mesi nascosto a causa delle ripetute minacce.

Casaldáliga, però, non ha rinunciato alla profezia. A chi gli dice che ormai è tardi per le battaglie, che il mondo è irrecuperabile e l’ingiustizia continua a dilaniare la vita di milioni di donne e uomini, il vescovo risponde con la poesia. Un’arma che egli ha sempre abbinato alla profezia: «È tardi. Però è tutto il tempo che abbiamo a disposizione per fare il futuro». Poiché è vero che «è tardi. Ma è l’alba se insistiamo un po’».

Lucia Capuzzi
LATINOS
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

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