Missione: che cosa è? (1/2)

Pubblicato il 10-10-2014

di Giuseppe Pollano

Longo Antonio, Santissima Trinitàdi Giuseppe Pollano – La missione, termine che deriva dal latino mittere (mandare), nella teologia cattolica si radica prima di tutto all'interno dell'amore trinitario, pone Gesù come centro della missione e infine indica i cristiani come i mandati per portare nel mondo l'amore di Dio. In questa prima riflessione ci soffermiamo sui primi due punti.


1.- la dinamica dell’amore trinitario

Per capire la missione bisogna salire nella profondità divina, dove c'è eterna fecondità dell'Amore, emissione di vita operata da Dio Padre opera, ed ecco il Figlio, e contemporaneamente emissione reciproca dell’Amore, ed ecco il respiro dello Spirito. Nella Trinità ha origine il movimento grazie al quale la Vita è dono e comunicazione.
Si comprendono in questa luce le parole di Gesù, mandato lui stesso dal Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 19,31). Gesù cerca di farci capire come egli procede dall’amore paterno e che di là è mandato qua in questa spinta amorevole ed eterna. “Tutto quello che il Padre possiede è mio” (Gv 6,15). Gesù prende le cose che ci dona dal cuore profondo del Padre ed è il mediatore, colui che passa la salvezza.

Questa intima comunicazione di amore diventa amore creativo, un bisogno di dare, una voglia di condividere la stessa felicità. Per cui ecco la creazione. Il creato, il cosmo è già una missione, è già una emissione di vita, di esistenza, che prepara come un grande e meraviglioso teatro la comparsa dell’uomo, colui che è capace di capire e ricambiare, ma anche colui che è capace di rifiutare. Ma Dio non vuole che la sua missione debba infrangersi e vanificarsi di fronte al no di un uomo. E perciò la missione completa non è Adamo, è Cristo. Il Signore Gesù viene. La missione di Gesù è darci la verità, dirci tutto della vita, dell’amore perché possiamo essere felici. Questo è il vangelo di Dio e Gesù è veramente il primo missionario.
Egli viene, ed avendo noi detto quel no, dice il suo sì. Per la disobbedienza di molti – ci ricorda Paolo (Rom 5,19) – siamo stati tutti costituiti peccatori, ma per l’obbedienza di uno solo siamo stati salvati. Con la sua croce e la sua Pasqua ci merita anche l’ultima effusione di Dio, ed ecco la Pentecoste. "Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome" (Gv 14,26).
Questo Dio che ad un certo punto si dona attraverso la creazione, la Pasqua, la Pentecoste si butta su di noi, ci inonda di vita. Siamo beati se accogliamo la vita e l’amore che ci dona Dio, ma non l’accogliamo per noi. Nasce la missione.

Quando si prega con il Gloria dovrebbe diventare un’abitudine vedere tutto il dinamismo di queste tre Persone vive che continuamente donano. Esiste un Dio eterno ma mai fermo, è Dio che manda l’Amore, cioè se stesso, là dove l’amore non c’è. Noi non siamo Dio, c’è un’infinita distanza tra noi e Dio, di conseguenza se lui è amore noi non siamo amore. Amiamo, conosciamo l’amore, ma come una delle nostre forti emozioni, forse anche la più bella. Ma non siamo purtroppo capaci di realizzarlo appieno.
In questo piccolo mondo così ferito, così disastrato dal disamore, dalla mancanza di amore, ecco che l’Amore viene, ecco la missione profonda di Cristo. Non capiremo mai a fondo quanto è grande questo dono, questo Gesù che comincia a camminare tra noi facendo del bene, come dicono gli Atti.

Siamo dunque impegnati in una operazione di Dio. Coinvolti dentro un dono che ci mobilità, ci chiama, siamo strumenti vivi della diffusione dell'amore al punto che, se non ci fossimo a cooperare, questa missione non ci sarebbe. Impressiona pensare al bene che non c’è stato perché non c’ero io a farlo.


2.- Gesù il centro della missione

Dalla Trinità trabocca l’Amore, parte il Figlio missionario. Nella sua enciclica sulle missioni, Redemptor hominis (1998), il papa inizia dicendo che la missione di Cristo Redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento. […] Uno sguardo d’insieme all’umanità mostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio (RH 1). L'enciclica punta l’obiettivo sulla centralità assoluta di Gesù. Infatti al n. 4 si richiamano alcune domande che serpeggiano tra i cristiani. Perché la missione? Non ci si può salvare in qualche maniera? Ogni religione non arriva a Dio in qualche modo? Sono quesiti che snaturano la missione. Il Salvatore è uno solo, c’è un solo uomo che ha detto che è Dio. Questo non significa che chi ha cuore e coscienza buoni, ma non ha conosciuto Gesù, non arrivi a Dio.

La missione è lasciarsi prendere dal Signore che ci investe della sua forza, e del suo amore. Gesù ha detto alcune parole molto belle per sottolineare il suo incarico:
"Io sono venuto perché abbiate la vita e l'abbiate in abbondanza" (Gv 10,10). L’uomo obietta che la vita ce l’ha già, ma Gesù risponde: hai un po’ di vita, ma non la mia, perché tu non sei Dio, io sì, e allora ti do la mia. È bello pensare a Gesù che viene a donare la vita e ribadisce “in abbondanza”. Il cristiano, proprio perché è di Cristo, può fare sue queste parole, viverle nel cuore e agire per dare vita a chiunque accosti, perché l’abbia in abbondanza. La darà come sa, come può, secondo le circostanze, ma è il dono di Dio che passa attraverso di lui.
"Vi ho fatto conoscere il nome del Padre perché l'amore con il quale mi ha amato sia in voi, e anch'io in voi" (Gv 17,26). L’ideale di Gesù è farci tutti felici come lui che è il Figlio. Se conoscessimo l’amore che il Padre gli dona, saremmo beati. Si è fatto uomo perché nei nostri piccoli cuori passi quella stragrande misura d’amore. Gesù è morto spinto dal desiderio fortissimo di renderci degni, e quindi figli come lui. Gesù è l’unico in grado di rivelarci l’amore.

La missione di Dio si incentra dunque in Gesù solo. Quel mistero altissimo, quella cascata che scende, si chiama Gesù e poi Spirito Santo. E la cascata si butta nella piccola pozza d’acqua, che è la Chiesa. La parrocchia, la piccola comunità, sono piccole pozze vive di Dio, da cui sgorga poi la missione che si distribuisce sulla terra. Questa è la missione che tocca a noi, che attuiamo più facilmente se noi stessi, in qualche modo, condividiamo la pace che ci dona Gesù. Quando siamo più sereni, più buoni, più gioiosi, più puri di cuore ci è spontaneo desiderare che anche gli altri condividano con noi questa esperienza grande, perché se hai un tesoro hai anche voglia di donarlo, non lo tieni gelosamente per te.

Io annunzio sempre! Certo, bisogna essere coerenti. Ci sono i momenti in cui lo siamo meno. Ma Gesù lo capisce, ci aiuta, ci sostiene: non dobbiamo mai scoraggiarci. Però rimane vero che siamo annuncio.
Ogni volta che diciamo o facciamo una cosa che è un bene, Dio, attraverso noi, arriva a qualcun altro. Questo non vuol dire avere sempre un linguaggio religioso sulla bocca, è la bontà il linguaggio: un gesto, una parola, una delle mille cose che la vita ci offre di fare, purché siano tali che arrivino al cuore dell’altro. La missione arriva al cuore, sempre, perché è amore.

Ciascuno ha la sua vita, ovviamente, e la vita non è da buttare via, è preziosissima: abbiamo i nostri valori da realizzare, l’intelligenza, il lavoro, l’amore, le professioni, tutto insomma. Ma questa è una vita umana che, per tanto che sia ben riuscita, non risolve il nostro destino, perché noi siamo fatti per Dio. La vita umana, allora, è presa dentro la vita di Dio e il senso della vita acquisisce senso divino. Non che le altre cose della vita non abbiano senso, ma nessuna è “il” senso, altrimenti sorge un equivoco disastroso.

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

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