Un tango da ballare in due

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

C’era una volta un bambino del Rhode Island. Robert Taft, Padre GesuitaEra nato in una famiglia cattolica che osservava le poche, semplici ma invariabili usanze liturgiche degli anni quaranta: in quaresima giù dal letto alle sei per la messa, i sepolcri al giovedì santo, il triduo della settimana santa che finiva per assorbire tre intere giornate, il venerdì santo, fra le dodici e le tre, silenzio assoluto in casa e ognuno nella propria stanza a bocca chiusa. Poi la liturgia della passione, lo svelamento della croce, i rametti del fuoco il sabato santo, la benedizione delle acque, i vestiti nuovi della mattina di pasqua, le campane, il gloria, gli alleluia, i paramenti bianchi e oro. “Ancora non posso – proprio non posso fisicamente – fare qualcosa da mezzogiorno alle tre il venerdì santo, tranne andarmene da solo e pensare all’enormità di tutto questo”, dice il bambino di allora, diventato gesuita e uno dei più grandi esperti di liturgia del mondo, soprattutto di liturgie orientali, che insegna al Pontificio Istituto Orientale di Roma. È anche sacerdote nel rito bizantino slavo e archimandrita. Lo studio della liturgia (“a parte la soddisfazione intellettuale e spirituale che può dare, e il bene che può fare, è anche un divertimento piacevole e pulito”) lo ha portato a scoprire presto il movimento liturgico e a prendere a cuore la situazione dei cristiani orientali in comunione con la chiesa cattolica.

Con la missio orientalis della Compagnia a ventiquattr’anni è già a Baghdad, ma i disordini scoppiati in seguito alla crisi di Suez chiudono le scuole e lui si tuffa, block notes in mano, nei “vicoli nascosti e fetidi del quartiere cristiano nella città vecchia verso una delle tanti cattedrali ammassate alla rinfusa in quel piccolo ghetto affollato”. Osserva, tenta di tradurre, annota, si sforza di capire, di penetrare attraverso l’intricata sedimentazione di tradizioni per giungere ai “gioielli dell’incarnazione del vangelo operata da un popolo, che aspetta di essere scoperta da qualcuno che ha la volontà di ripulire le incrostazioni”. Spiegata da lui, teologo raffinato con il dono dell’umanità e della concretezza, refrattario al narcisismo solipsistico degli studiosi, la liturgia salta fuori dalle pagine per quello che è, una forza, una potenza salvifica capace di penetrare nelle profondità dell’essere per fare tutti insieme il corpo di Cristo. Tutti insieme, perché il corpo del Salvatore non va diviso: i fedeli non vanno in chiesa per quello che trovano, ma per quello che danno.

È falsa l’opposizione fra pietà liturgica e pietà personale: la liturgia non è che l’esempio pubblico del lavoro personale, intimo, di formazione spirituale. Liturgia e vita sono la stessa cosa, lo scopo è lo stesso: diventare altri Cristo. Lo scopo dell’eucarestia non è cambiare il pane e il vino, è cambiare te. Lo scopo del battesimo è renderti acqua purificatrice e olio che sana e fortifica, perché ciò che era visibile del nostro redentore è passato nel sacramento, come diceva milleseicento anni fa san Leone Magno. La liturgia è noiosa e la gente cerca il nuovo? Non c’è da sovrapporre alla tradizione una falsa creatività, la liturgia è una tradizione comune, un ideale di preghiera a cui devo crescere, non un gioco privato da ridurre alla mia banalità. Se non capisco un rito che i cristiani fanno da mille anni, “dovrei sospettare una lacuna nella mia intelligenza prima di tagliare ciò che ha la sfrontatezza di non farsi capire da me”. Basterebbe far bene il vecchio, perché la vera tradizione che dà appartenenza è quella in cui si sa ciò che viene dopo.

La liturgia deve parlare da sola, perché il soggetto è Dio e, come dice Giovanni, lui deve crescere ed io diminuire. Non ha bisogno di qualcuno che la spieghi, ha bisogno di simboli immediati, movimento, rumore, incenso, canti, campane. I canti dell’assemblea sono stati introdotti proprio per tenere la gente occupata e coinvolta, e si è visto che funzionava. Ad Antiochia nel quarto secolo le omelie di Crisostomo o di Gregorio Nazianzeno erano interrotte da applausi e grida, e certi predicatori avevano, come oggi in tv, gli applausi preparati. Non c’è da stupirsi: se la Parola è predicata, è Lui che predica, se la Parola riconcilia, è Lui che perdona. Nella Cappella Sistina il dito di Dio datore di vita si allunga quasi a toccare il dito proteso di Adamo. La liturgia colma il vuoto fra quelle due dita, e la storia della salvezza è la storia della mano sempre tesa di Dio e la storia delle nostre mani alzate o che rifiutano di alzarsi per accogliere il dono. La liturgia è un commercio fra noi e Dio, è la scala di Giacobbe tesa fra terra e cielo. È un tango, dice padre Taft, che va ballato in due.

Flaminia Morandi
NP agosto settembre 1999


Robert F. Taft, Oltre l’oriente e l’occidente. Per una tradizione liturgica viva, Lipa, Roma, 1999.

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