Precario come Dio

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

Maria Pia Rella, La volpe e l'uvaQuando una persona entra nel mondo ha le mani strette come per dire: Tutto è mio, lo possederò interamente. Quando esce dal mondo le sue mani sono aperte, come per dire: Niente ho acquistato dal mondo - dice il Talmud. E racconta anche una parabola che somiglia a una favola di Esopo: la ricerca di sicurezza è come una volpe che trovò una vigna recintata da ogni lato. C’era un’apertura, ma non riuscì a passarci. Allora digiunò tre giorni fino a che divenne così magra da riuscire a infilarsi nel buco. Una volta dentro mangiò a crepapelle e tornò grassa. Quando decise di uscire, di nuovo non poteva passare dal buco. Digiunò altri tre giorni finché non dimagrì e poté uscire. Allora disse alla vigna: Tutto ciò che contieni è bello e buono, ma che vantaggio se ne trae? Come si entra, così si esce.

Non è una gran consolazione per chi ha un lavoro precario e non può fare progetti, sposarsi, comprarsi una casa, avere un figlio. Eppure, anche quando si ha un lavoro stabile che permette di progettare e pianificare, chi può dire che la sua situazione è sicura? Ci siamo abituati a vivere pensando che la sicurezza sia un diritto. La pretesa di giustizia è veterotestamentaria, diceva il teologo francese ortodosso Olivier Clément. Ci siamo abituati a guardare il mondo con uno sguardo sociologico invece che spirituale. Le antiche parole invece non hanno mai un significato banale. La parola precario deriva dal latino precarius, che a sua volta viene da prex, preghiera. Precario è chi ottiene qualcosa solo con la preghiera, è appeso alla decisione di un altro, è uno che non ha sicurezze, non sa né come né fino a quando la sua vita sarà protetta. Ma questa è la condizione di ogni uomo sulla terra, è la condizione benedetta per un cristiano perché lo spinge finalmente ad abbandonarsi a Dio senza riserve, a riporre in lui solo ogni speranza.

Cecilia Brendel, Gesù bussa alla portaÈ anche la condizione di Dio con noi: il suo amore folle per l’uomo è precarius, sta alla nostra porta e bussa e non sa se ascolteremo la sua voce di silenzio. Eppure aspetta solo quel momento, l’attimo della nostra resa al suo abbraccio. Che diventa sostegno, stabilità, sicurezza. La precarietà è la condizione della fede e della speranza; vissute in Cristo generano un cuore morbido e caldo di carità. La Pasqua ci ricorda ogni domenica che la più grande vittoria può nascere solo dalla più grande sconfitta secondo il criterio sociale del mondo. Il criterio cristiano non è la vittoria né la sicurezza autosufficiente. L’unico criterio cristiano è un’umile e tenace fedeltà, una lotta continua e nascosta contro la violenza e la menzogna della storia, che non finiranno mai. Il criterio cristiano è la convinzione che la sconfitta secondo il mondo, l’umiliazione della precarietà, può divenire creazione di vita. Per un cristiano è il martire, il più precario di tutti, ad aprire la storia alla grazia e a permettere la trasfigurazione di una piccola, apparentemente insignificante, porzione di realtà.



Flaminia Morandi
NP novembre 2008

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok