In ogni figlio

Pubblicato il 04-07-2016

di Flaminia Morandi

Alexander Antonyuk, Il sacrificio di Isaccodi Flaminia Morandi – Muore di fame un bambino ogni cinque secondi. I media ci sparano negli occhi ma non sempre nel cuore immagini di bambini migranti, a volte salvati a volte affogati, e bambini ammalati con un’unica espressione, il dolore.
Ogni volta che si vede soffrire un bambino viene in mente la Galleria dei bambini al museo Yad Vashem a Gerusalemme, il memoriale della Shoah.

Un lungo corridoio che si attraversa al buio mentre si accendono delle piccole luci come stelle, immerso in un terribile silenzio rotto da una voce che dice il nome del milione e mezzo di bambini uccisi nei lager, l’età, la città dove erano nati con la speranza di crescere. O si pensa al terribile “perché” che Dostoevskij mette in bocca a Ivan Karamazov: Di tutte le lacrime dell’umanità, delle quali è imbevuta la terra, non dirò nemmeno una parola… Sono una cimice e riconosco in tutta umiltà che non capisco perché il mondo sia fatto così… La mia povera mente arriva solo a capire che la sofferenza c’è, che non ci sono colpevoli…

Ma che c’entrano i bambini? È del tutto incomprensibile perché debbano soffrire anche loro… La solidarietà fra gli uomini nel peccato la capisco, capisco la solidarietà nella giusta punizione, ma con i bambini non ci può essere solidarietà nel peccato, e se è vero che essi devono condividere la responsabilità di tutti i misfatti compiuti dai loro padri, allora io dico che una tale verità io non la capisco…

C’è un episodio nella Bibbia che urla lo stesso “perché”, quando ad Abramo viene chiesto di offrire in olocausto il suo unico figlio Isacco, l’amato, il figlio della promessa. La descrizione della pesantezza di ogni gesto di Abramo, il mettersi in viaggio col ragazzo, la legna caricata sull’asino e poi portata a spalla, la terribile domanda di Isacco (e l’agnello dov’è?), la risposta fra fede e menzogna di Abramo (Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto!), il coltello, il sacrificio che sta per compiersi… Ma l’angelo ferma la mano del padre e fra i rami di un cespuglio Abramo vede impigliato l’ariete da sacrificare. Nel racconto biblico Isacco vive.

Ma c’è un midrash invece in cui l’esito dell’episodio resta ambiguo: gli angeli piangono, le lacrime cadono sul coltello che perde forza… Isacco è salvo! Ma subito si dice: la sua anima si dipartì. E dopo: Benedetto tu, o Dio, che fai diventare vivi i morti. Muore o non muore Isacco? C’è come una paura sacra ad affrontare il tema del dolore più grande che un uomo può sperimentare: vedere soffrire e morire un bambino, un ragazzo, il proprio bambino, ragazzo, figlio. Non si può descrivere fino in fondo un evento che non ha risposta che non sia silenzio, stella che si accende, nome pronunciato per non dimenticare, dolore di Dio mentre suo figlio in ogni figlio muore.







Rubrica di NUOVO PROGETTO

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