Vedo che hai bisogno

Pubblicato il 19-03-2013

di stefano

di Stefano Zamagni - Dallo scambio di beni equivalenti alla reciprocità, un principio diverso da quello del profitto.

Storicamente l’economia di mercato nasce quando le nostre società stanno uscendo dal feudalesimo e iniziano l’era moderna. Comincia a farsi strada l’idea in base alla quale per soddisfare i bisogni della gente sia necessario organizzare il processo economico in una maniera completamente diversa da quella del sistema feudale, attraverso un metodo che possa funzionare secondo due modalità diverse: quella basata sul principio dello scambio di equivalenti, che oggi definiamo economia privata, e quella basata sul principio di reciprocità, che noi oggi chiamiamo economia civile.

Bisogna togliere le persone dalla condizione di bisogno. Il cristiano in primo luogo deve rendere libero l’uomo: l’economia e l’organizzazione della vita economica diventano lo strumento, non il fine, attraverso il quale allargare le sfere di libertà.

Viene fuori l’idea di organizzare il mercato su due gambe: la gamba dell’economia privata e la gamba dell’economia civile. L’economia privata era basata sul principio dello scambio di equivalenti e aveva come fine il lucro, o, come si dice oggi, il profitto. San Bernardino però avvisa che non basta che, nel rispetto delle regole del gioco economico, i mercanti giochino al lucro, perché ci sono altri tipi di bisogni, altri tipi di situazioni, per le quali il mercante non è in grado di operare. Ecco allora la necessità dell’economia civile, che consiste in forme di organizzazione economica basate sul principio di reciprocità, un principio diverso da quello del profitto.

Secondo il principio di reciprocità lo scambio non avviene sulle basi dell’equivalenza di valore ed a fini di lucro, ma su basi, appunto, di reciprocità. Questo significa: io vedo che tu hai bisogno e ti vengo in aiuto, ti do quello che a te serve, però io devo metterti in grado di reciprocare, cioè di restituire quello che ti ho dato anche sotto un’altra forma e con un valore diverso, a me oppure ad un altro.

Dal principio di reciprocità nascono le cosiddette Opere pie, nascono i primi ospedali. San Francesco ordina ai suoi frati di creare le prime banche, che allora si chiamavano I Monti di Pietà. Ancor oggi certe antiche insegne indicano gli ospedali col nome di ospedali civili, non ospedale pubblico o statale, perché civile è l’aggettivo che traduce il concetto di società civile, cioè di chi partecipa ad una certa comunità.

A partire dal ’700, cioè da quando inizia la rivoluzione industriale, la concezione dell’economia di mercato viene dimenticata. Si afferma la concezione secondo la quale l’economia di mercato viene identificata solamente con l’economia privata, con la conseguenza che l’unico principio regolatore della vita associata è quello dello scambio di equivalenze. Questa concezione del mercato viene ovviamente esaltata dalla prima e dalla seconda rivoluzione industriale, e, più avanti, dall’avvento del capitalismo quale oggi noi lo conosciamo in senso proprio e in senso tecnico. Naturalmente, l’economia capitalistica va a braccetto con questa concezione riduttiva dell’economia di mercato. Si affermano tutta una serie di teorie economiche, di cultura, di mentalità popolare, le quali producono la convinzione erronea che basti sviluppare il mercato nel senso ristretto del termine, cioè considerando solamente la gamba dell’economia privata, per risolvere tutti i problemi.

Già a partire dalla metà del 1800, questa concezione trova degli oppositori, il più importante dei quali è Marx, che pensa di combattere questa concezione proponendo un’economia pianificata: nel tentativo di superare i limiti dell’economia di mercato sostenuta dall’economia privata, si è andati all’eccesso opposto, cioè eliminando il mercato tout court, ossia eliminando anche l’iniziativa personale. Facendo questo si cancella anche quella orizzontalità che è la comunità. Nell’economia pianificata essa non esiste: esiste soltanto una struttura di vertice, che dall’alto trasmette ordini al basso. La storia ha dimostrato che questa concezione è troppo riduttiva e non può funzionare.

Arriviamo ad oggi. La novità della nostra epoca è questa: per uno strano congegno della storia, finalmente ci stiamo rendendo conto che la concezione di mercato come sola economia privata è destinata a perdere, e quindi oggi, dopo tanti secoli, siamo nelle condizioni storiche per cui possiamo ritornare a quella concezione iniziale di mercato come istituzione che marcia con le due gambe, quella dell’economia privata e quella dell’economia civile. Oggi non possiamo affidare il soddisfacimento dei nostri bisogni materiali e spirituali solo ad un’organizzazione basata sul fine del lucro, cioè del profitto.

Oggi la democrazia, quale la intendiamo, non è più lo strumento che tende a ridistribuire le risorse fra tutti in maniera equanime; la democrazia politica così intesa non riesce a dare voce agli esclusi, agli emarginati, anche per la semplice ragione che i reietti non vanno a votare e quindi non attirano l’interesse. Questo è il limite profondo della regola democratica, oggi.

Non voglio dire con questo che la democrazia è inadatta a coinvolgere e a far partecipare questi emarginati, voglio solo dire che non basta più. Se essa bastasse, d’altronde, non si riuscirebbe a capire il perché dei problemi del Terzo e del Quarto Mondo. A questi esclusi dobbiamo arrivare con altri mezzi, cioè con lo strumento della reciprocità, ossia con quelle forme di organizzazione economica basate sul principio di reciprocità. Questi strumenti sono organizzazioni di economia civile, siano essi gruppi di volontariato, comitati, fondazioni cooperative o quant’altro, che creano, all’interno della nostra società, strutture che funzionano secondo la logica della reciprocità.

Insisto sul principio di reciprocità e non su quello della gratuità perché il primo è più forte del secondo ed è la traduzione in campo laico della carità cristiana. La relazione di gratuità è una relazione univoca, unidirezionale, che va dal soggetto A al soggetto B. La relazione tipica della gratuità è la filantropia. La relazione di reciprocità invece è bidirezionale: il soggetto A vede che B è in una situazione di bisogno, e gli va incontro con un atto di gratuità, cioè senza che nessuno lo obblighi e senza aspettarsi niente in cambio; però poi B deve reciprocare, ossia deve dare qualcosa in cambio, non un equivalente, o ad A o ad altri diversi da A. Un semplice esempio è il genitore saggio, che dà al figlio, però pretende qualcosa in cambio, o a se stesso o ad altri.

Ecco perché la reciprocità è più della gratuità, perché essa comprende la gratuità, e ci aggiunge qualcosa in più. La relazione di filantropia o di sola gratuità ha questo difetto: tende a togliere, al di là delle intenzioni, la dignità delle persone perché ne fa degli assistiti.

La reciprocità è il nome laico della carità cristiana. Affermare che la carità cristiana è gratuità è un errore semantico, perché il Signore a noi dà la grazia, ma da noi pretende qualcosa. Ogni pagina del Vangelo è basata su questo principio.

Il povero non può essere trattato come uno che prende i soldi e basta: noi dobbiamo dargli la possibilità di reciprocare, altrimenti noi commettiamo la più grave delle ingiustizie sociali, perché facciamo sì che soltanto il ceto medio possa essere generoso.

Idea grafica di Giampiero Ferrari

Speciale - PER DIVIDENDO LA FRATERNITÀ 2/6

L’uomo e la sua dignità al centro: l’unica via di uscita dalla crisi economica. Donne e uomini capaci di relazioni, di dialogo, di incontro. Disponibili a mettersi nei panni degli altri, a diventare custodi, a non lasciare nessuno indietro. Nel piccolo come nel grande. La logica del dono diventa stile di vita e modello economico per costruire una società realmente fraterna.

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok