Scalzi e credibili

Pubblicato il 11-03-2014

di Ernesto Olivero

di Ernesto Olivero - Mi è capitato più volte di incontrare negli anni passati chi mi ha vomitato addosso tutta l’amarezza verso la Chiesa: l’ipocrisia, i cattivi esempi, la smania di potere, l’ingordigia, il giudizio e la predica sempre pronta. Un certo tipo di Chiesa è finita, è morta. Quella Chiesa che non cerca più la pecorella smarrita e, spesso, fa di tutto per perderla. Addirittura, in certe situazioni, non c’è più nemmeno una pecorella da cercare. Ce ne sono novantanove! Quella Chiesa che non riesce ad avvicinare i giovani. Non li cerca, non li aiuta a gustare la preghiera e il silenzio. 


Un paradosso per una Chiesa che ha avuto mille e mille martiri, persone disposte a morire per testimoniare l’amore di Dio. Una Chiesa che ha visto mille e mille missionari andare in posti infami e morire per Cristo con il sorriso sulle labbra o prendersi malattie rarissime accettando il dolore. Una Chiesa che ha avuto tra i suoi esempi mille e mille uomini di Dio seppelliti vivi nelle carceri per consolare, preti e suore impegnati negli ospedali per fasciare chi è malato, fior di professionisti che hanno lasciato tutto per servire i più poveri. Una Chiesa che dona a piene mani il tesoro di essere perdonati una, dieci, mille, infinite volte. Una Chiesa che ha un Dio che non vuole sottomettere l’uomo, ma gli permette di fare cose più grandi di lui. Insomma, una Chiesa che è riflesso di un amore sconfinato. 


Una Chiesa così fa innamorare tutti e, solo ad essere nominata, dovrebbe suscitare rispetto, entusiasmo, gioia. Sarebbe una Chiesa di cui tutti direbbero: “Quella è casa mia, là c’è una Parola di vita eterna, là mi ascoltano, là c’è sincerità, là ho trovato il senso della mia vita”. Una Chiesa così diventerebbe la casa anche per i credenti delle altre religioni e di chi non ha fede: nessuno rifiuterebbe delle porte sempre aperte. La stessa simpatia nascerebbe dall’incontro con un cristiano.

Un certo tipo di Chiesa è finita: una crisi nata non solo dall’alto, ma dal basso, da ciascuno di noi, da ogni uomo o donna che dice di essere cristiano senza impegnarsi ad esserlo. Non è indicando il buio che si espande la luce, non è puntando il dito che si espande l’amore. Non tutto va demolito se si vuole riparare una costruzione un po’ avanti negli anni. La via d’uscita è una sola: la conversione. Convertirci ora, senza cercare lontano ciò che è vicino. Allora noi cristiani torneremo a far innamorare della Chiesa, torneremo a suscitare rispetto, simpatia non per la grandiosità, ma per la semplicità, non per la forza, ma per la credibilità.

Non dobbiamo avere paura delle nostre miserie. La debolezza, riconosciuta e non mascherata di perbenismo, può far emergere l’opera di Dio che è in ognuno di noi. La Chiesa e i cristiani mostrano il loro volto più vero non quando trionfano o camminano sulle acque, ma quando la paura li prende e, nella tempesta, sanno dire con semplicità il loro “Gesù, salvami!”.

Luce e buio non stanno insieme. O diventano solo luce, o solo buio. Come Sermig lo abbiamo sperimentato in prima persona. Quante storie di resurrezione abbiamo incontrato! Ma non ci siamo mai montati la testa. Il Sermig è fatto semplicemente di persone che si vogliono convertire, persone che conoscono la durezza della vita e che possono dire a chi avvicinano: “Ce l’ho fatta io, puoi farcela anche tu”. È questa la speranza che vorrei comunicare. Il mio non è un atto di arroganza, ma l’esplosione d’amore di un cuore che ama la Chiesa e la ama con tutte le sue forze.

Speciale - La Chiesa di Francesco 1/5 - NP dicembre 2013

Gli scandali e le polemiche, le dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione del nuovo papa. Si chiude un anno storico per la vita dei cristiani e non solo. Gesti, parole, progetti: i germogli di un pontificato.



Foto: Max Ferrero / SYNC

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