Un aereo che cade

Pubblicato il 20-07-2016

di Michelangelo Dotta

di Michelangelo Dotta - Abbiamo lentamente imparato nostro malgrado a convivere con minacce, ritorsioni, video choc, distruzioni, rapimenti, esodi di massa, naufragi, esecuzioni e tutto il vasto repertorio dell’orrido che la mente umana è in grado di generare ma, a coronamento di tutto ciò che di aberrante abbiamo conosciuto, ci siamo altresì abituati alle conseguenti rivendicazioni da parte dello scellerato di turno. La firma identifica di fatto il nemico, circoscrive un ambito, indica una strada, suggerisce uno scenario strategico, in qualche misura tranquillizza le masse, fiduciose che qualcuno, nella determinata circostanza, possa e sappia agire di conseguenza. Ma nell’ultimo caso dell’aereo egiziano scomparso nel Mediterraneo, decollato da Parigi e mai giunto al Cairo, alla tragedia degli ignari passeggeri, con il passare dei giorni e delle settimane, si è aggiunto l’incubo della mancata rivendicazione, la firma di chi nell’ombra distilla e distribuisce pillole di terrore.

È vero che senza l’analisi delle due scatole nere sepolte nel mare davanti ad Alessandria resta in piedi qualsiasi opzione rispetto alle cause del disastro, ma il ritrovamento dei resti di quel volo, e in particolare di quelli umani, non più grandi di una mano, rimanda subito alle conseguenze di un’esplosione dell’aereo. In pieno clima vacanziero, con la mente già proiettata ad assaporare esotiche fragranze in lidi lontani, il silenzio pesa come un macigno: tragico destino o nuova strategia, avaria meccanica o escalation di un terrorismo che conduce esperimenti nascosti per collaudare e perfezionare le sue tecniche in vista di un gesto clamoroso?

Anche le televisioni ed i giornali hanno abbandonato in fretta la notizia. Nel dubbio e senza rivendicazione alcuna, un aereo che cade entra a pieno titolo nella casistica delle disgrazie e nel computo delle possibilità di chi sceglie quel mezzo per spostarsi; ma a ridosso delle nostre meritate vacanze il misterioso silenzio che è calato inquieta di più, instilla il tarlo di una insicurezza che va al di là delle semplici percentuali statistiche.

Nel contempo, ripresa dalle telecamere e dagli scatti ben confezionati della propaganda, una lunga colonna di decine e decine di fuoristrada giapponesi nuovi fiammanti con le bandiere nere al vento e i miliziani in armi dell’Isis in posa plastica, sfila lungo il mare di Sirte ostentando una minacciosa sicurezza. Di certo la sequenza ha un grande impatto emotivo e conferma il clima di paura cui siamo costretti, ma la cosa che più spaventa, è che nonostante la tecnologia di guerra dell’Occidente disponga dei mezzi più sofisticati e precisi per colpire il nemico e annientarlo in diretta (vedi Bin Laden nel suo fortino), nessuno abbia osato arrestare questa ennesima parata provocatoria, non un drone, non una granata, non un colpo di un solitario cecchino, il nulla mentre l’ultima jeep armata e scintillante esce a destra dell’inquadratura...
Questo sì che spaventa.

 

 

 

 

Rubrica di Nuovo Progetto

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