Giovani al tappeto

Pubblicato il 01-02-2017

di Guido Morganti

di Guido Morganti - I dati degli istituti di ricerca non ci confortano: in Italia i giovani vivono una difficile condizione sociale ed economica. Il lavoro rimane un traguardo difficile da raggiungere.

EUROSTAT

C’è una interessante raccolta dati di Eurostat sul livello occupazionale dei giovani dei 28 Stati membri dell’UE per età, sesso, livello di istruzione. Riferendosi all’anno 2015 l’Italia non ne viene fuori bene. Ad esempio, nel gruppo di età tra i 15 e i 29 anni, tralasciando l’indagine per sesso e grado di istruzione, siamo al penultimo posto, con il 28,6% dei giovani che lavorano, mentre la media è 47,2. Sta peggio di noi la Grecia con il 23%. In testa Olanda (68%), seguita da Austria (62%). Anche l’indagine occupazionale per sesso e livello di istruzione ci vede in coda. In particolare per i maschi lo scarto dalla media europea di maschi con lavoro (49,9%) è di 17,3 punti, per le femmine di 20 punti, noi 24,4%.

Le cose non cambiano se prendiamo il gruppo di età tra i 20 e i 29 anni. Mentre la media europea si attesta sul 61,4 % noi siamo ultimi insieme alla Grecia con il 40,3%.

ISTAT

Per il 2015 l’Istat offre le percentuali dei giovani che lavorano suddividendoli in tre gruppi: tra i 15 e i 24 anni (oltre 6 milioni), 25 e 34 anni (oltre 7 milioni). Ogni 100 giovani il tasso di occupazione è di 15,6 per il primo gruppo e 59,7 per il secondo. Indagando per sesso abbiamo nel primo gruppo i maschi al 18,6 e le femmine al 12,4; nel secondo gruppo 67,8 e 51,4.

OCSE

Riguardo ai neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e che non sono più inseriti in un percorso di studio (Not in Education, Employment or Training), l’Ocse ha rilevato che nel 2015 il tasso è salito al 26,9% sul totale della popolazione giovanile, 12 punti in più rispetto alla media Ocse, e che ci pone in coda. Con i quasi 2,5 milioni di neet, sempre secondo l’Ocse, l’Italia perde 1,5 punti di pil. Serve una politica scolastica e universitaria che incoraggi l’inserimento nel cammino di studio.

RAPPORTO GIOVANI, Istituto Toniolo

A livello sociale è ampiamente accettato che i giovani italiani si rechino all’estero per studio o per lavoro, “specie considerando le migliori opportunità per il lavoro. “Lavoro e mobilità tendono allora a diventare un tutt’uno”. Il 20,4% è stato all’estero per motivi di studio, l’11% per lavoro. Sono molto più mobili dei coetanei europei. In Francia è stato oltre confine il 15,8% dei giovani (7% per lavoro), in Germania quasi il 16% (10% per lavoro), nel Regno Unito il 20% (9,5% per lavoro). Da notare che l’idea di andare all’estero è apprezzata dal 45% degli italiani, mentre solo dal 5,6% dei tedeschi e dal 7,7% dei britannici.

CENSIS

Nel suo cinquantesimo rapporto annuale (dicembre 2016) il Censis apre anche alcune finestre sulla situazione giovanile. Partiamo da una premessa. L’Italia siede su una montagna di risparmi, 114 miliardi di euro, che non spende per paura. Il direttore del Censis Massimiliano Valerii ricorda che si è dato corso a “un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo ko i Millenian”. Il reddito dei giovani è inferiore del 15,1% rispetto alla media dei cittadini. Interessante in confronto con venticinque anni fa. I giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso dei giovani del 1991 che avevano un reddito di 5,9% rispetto alla popolazione. La popolazione tutta del l’8,3% in meno. Gli over 65 del 24,3% in più.

Riguardo alla ricchezza i giovani di oggi hanno in meno il 4,3% rispetto quelli del 1991, mentre per gli italiani tutti il 32,3% in più e per gli anziani ben l’84,7% in più. I nuclei famigliari under 35 possiedono una ricchezza inferiore a oltre il 40% rispetto alla media mentre venticinque anni fa solo il 18,5%. I figli sono più poveri dei loro genitori e nonni, ecco il succo del rapporto.

Sul fronte del lavoro il rapporto del Censis, considerando che nei primi sei mesi del 2016 sono stati emessi 70 milioni di voucher, sostiene che “è il segnale che la forte domanda di flessibilità e l’abbattimento dei costi stanno guidando un segmento esteso e crescente di datori di lavoro, alimentando l’area delle professioni non qualificate e del mercato dei lavoretti, imprigionando uno strato crescente dell’occupazione (soprattutto giovanile) nel limbo del lavoro quasi-regolare” …non a caso, la nuova occupazione creata è associata a una bassa crescita economica”. La dimostrazione di quanto detto e che è una condanna dei Millenial? “Tra il primo trimestre del 2015 e il secondo trimestre del 2016 il Pil è aumentato di 3,9 miliardi di euro e gli occupati interni di 431.000 unità, quindi ciascun nuovo occupato è associato a una produzione di ricchezza di soli 9.100 euro. Nel periodo, in effetti, la produttività (intesa come Pil per occupato) si è ridotta di conseguenza da 16.949 a 16.812 euro: 137 euro in meno per occupato”. Come dire che “se la produttività (in Italia già di per sé non alta) fosse rimasta costante, nell’ultimo anno e mezzo il Pil sarebbe cresciuto complessivamente dell’1,8% e non solo dello 0,9% come invece abbiamo effettivamente registrato”.

SERMIG

Se la situazione socio-economica dei giovani è difficile, in attesa di decisioni che competono alla politica, il Sermig continua ad investire sui giovani attraverso periodiche proposte, come le settimane di formazione per gruppi, gli incontri dell’Università del Dialogo, la scuola per artigiani restauratori, il Laboratorio del suono, l’Arsenale della Piazza e gli Appuntamenti Mondiali dei Giovani della Pace, quest’anno a Padova il 13 maggio.

Guido Morganti
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FOTO: RIZZATO/NP

 

 

 

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