Conti a rischio

Pubblicato il 23-04-2017

di Lucia Sali

di Lucia Sali - C’è un’immagine che la dice più lunga di qualsiasi polemica sullo zerovirgola o i diktat di Bruxelles: nella cartina della competitività 2016 in Europa, l’Italia è l’unico Paese del G7 in rosso. Nessuna regione ha un tasso positivo.
La sua punta di lancia, la Lombardia, risulta 143esima sulle 263 regioni Ue. L’indice (Regional Competitivness Index, Rci), appena aggiornato dalla Commissione europea mettendo insieme vari indicatori dalla qualità della sanità all’educazione sino al mercato del lavoro, ha visto un tracollo costante delle regioni italiane dal 2010 a oggi. Anche di quelle che, come appunto la Lombardia, sei anni fa erano ancora nella zona verde della mappa europea.

Presa nel suo insieme, la situazione dell’economia nostrana è ugualmente in traccheggiamento: in base alle previsioni economiche d’inverno della Commissione Ue, l’Italia sarà il solo Paese nel 2017 a restare sotto la barra dell’1% di crescita. Tradotto, saremo quelli con il peggiore Pil dell’intera Ue, con lo 0,9%. Persino per la Grecia, martoriata dalla crisi che la attanaglia dal 2010, quest’anno ci sarà la svolta. E se è vero che il deficit nominale è tornato sotto la barra del 3% prevista dal Trattato di Maastricht, quella del 60% del debito è ormai stata più che raddoppiata: i pagherò italiani nel 2017 saliranno ulteriormente oltre il 133% del rapporto con il Pil. Senza contare che è da quando Bruxelles ha messo in piedi il sistema del semestre europeo per monitorare i conti dei Paesi dell’eurozona e le riforme, che l’Italia si vede fare uno stesso tipo di diagnosi con uno stesso tipo di cura. Dalla modernizzazione della pubblica amministrazione al taglio dei tempi della giustizia, dalla riforma del mercato del lavoro a quella del welfare, dalla lotta all’evasione al taglio di esenzioni e privilegi.

Eppure anche quest’anno l’Italia ha solo parzialmente attuato le raccomandazioni Paese per Paese del 2016, che come già quelle del 2015 chiedevano tra le altre cose di ristrutturare il sistema bancario, prima del tracollo delle varie casse di risparmio e di Mps. Ora i 20 miliardi stanziati per la banca senese e potenziali altri istituti in difficoltà sono già marcati in rosso sotto la colonna debito pubblico, previsto ulteriormente salire quest’anno al 133,3% dal 132,8%. La graduale riduzione del debito doveva partire nel triennio 2012- 2015, ma la profonda recessione che ha colpito non solo l’Italia ma tutta l’Ue ha consentito l’anno scorso di fare ricorso ai “fattori rilevanti”. Il rapporto 126.3 sul debito del 2015 ha potuto così chiudersi senza avvio di procedure, ma una clausola era stata chiara tra le parti: Bruxelles avrebbe chiuso un occhio sui conti dell’anno scorso e garantito 19 miliardi di euro di flessibilità, se quest’anno fossero state prese misure per l’1,8%. L’impegno sottoscritto dal ministro dell’economia Pier Carlo Padoan lo scorso anno è però rimasto lettera morta.

I conti italiani, quindi, se restano così non solo sforeranno per il 2017 ma rischiano di farlo ex-post anche nel 2016, annullando parte della flessibilità già ricevuta. La richiesta Ue di una manovra aggiuntiva di almeno lo 0,2% del pil entro fine aprile nel Def, quindi, questa volta se non verrà soddisfatta rischia di sfociare in una doppia procedura per debito eccessivo a maggio. E così dicasi per gli squilibri macroeconomici.
Nel contesto globale più incerto dalla Seconda guerra mondiale in cui si trova l’Ue, il debito-monstre dell’Italia e il rallentamento delle riforme non solo continuano a impattare sulla crescita del Paese ma costituiscono un rischio-contagio per l’intera eurozona. Ed eventuali dimissioni di Padoan o la caduta del governo non aiuterebbero. “Credo che l’Italia possa rispettare le regole”, ha detto il commissario Ue Pierre Moscovici, “non siamo dei fanatici”.

Lucia Sali
EUROLANDIA
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

 

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