CINA: l'impero di mezzo

Pubblicato il 07-05-2012

di Redazione Sermig


Ha fatto discutere la recente notizia dell’impegno assunto dal nostro Governo ad adoperarsi perché l’UE sospenda l’embargo di armi in essere nei confronti della Cina (mercato appetitoso, anche per le armi!).

p. Bernardo Cervellera

 

Peraltro l’8 dicembre scorso a L’Aja, in occasione dell’annuale incontro Europa-Cina, l’UE ha deciso di attendere maggiori garanzie sul rispetto dei diritti umani in Cina. Nel frattempo il “Paese di mezzo” sta piangendo gli ultimi 25 minatori morti (oltre a 141 dispersi), parte dei ca. 20.000 che ogni anno perdono la vita per soddisfare l’altissimo bisogno energetico del Paese. Ciò nonostante, annulla il seminario sul rispetto dei diritti dei lavoratori, organizzato per questa settimana, in collaborazione con l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), al quale dovevano partecipare rappresentanti di più di 30 Paesi. Motivazione: i tempi inopportuni. Ma che tempi sono in Cina?
Il mensile Nuovo Progetto ha chiesto, per il numero di dicembre, l’autorevole opinione di p. Bernardo Cervellera (Direttore di AsiaNews) che vi proponiamo anche su Giovanipace.org
A giudicare dagli articoli di giornale – soprattutto quelli economici – la Cina è davvero all’ordine del giorno. La nuova superpotenza stende ormai i suoi tentacoli ovunque, non solo coi ristoranti cinesi e le immancabili lanterne rosse, ma anche con investimenti immobiliari e una valanga di vestiti, scarpe, frigoriferi, condizionatori, oggetti di plastica, giocattoli tutti made in China.
Una parte delle industrie italiane si lamenta: i prodotti cinesi sono imbattibili per i prezzi e questo costringe varie ditte a chiudere i battenti. A meno che – ed è il sogno ormai di tutti gli imprenditori – non andare in Cina a produrre la tua merce: salari bassissimi (150 euro in media); niente sindacati; quasi nessun controllo sull’inquinamento; coperture del potere politico ottenute attraverso solide bustarelle. In più, alletta il fatto che nella ex Cina di Mao i ricchi sono cresciuti: si calcola vi siano almeno 150 milioni di super-ricchi, che si possono permettere la Ferrari, andare all’estero, vestire alla moda, mangiare all’italiana, investire soldi a New York o a Londra.

Per le pubblicazioni economiche la Cina è il luogo delle nuove opportunità. Mentre l’economia mondiale annaspa, quella italiana ristagna, il Paese di Mezzo esibisce quest’anno un incremento di prodotto interno lordo del 9,3%. E questo solo perché i capi di Pechino hanno deciso di raffreddare la produzione.
Eppure tutta questa ricchezza non è ben distribuita. L’anno scorso, pur con tutto questo incremento, in Cina i poveri sono aumentati di circa 1 milione. Questi vanno ad aggiungersi agli altri 250 milioni di persone che vivono con meno di 2 dollari al giorno, senza casa, o vestiti o cibo. Negli ultimi 20 anni la Cina, da Paese ultra comunista, è ormai diventato un Paese a capitalismo selvaggio. Per modernizzare la produzione e il commercio e tenere fronte alla concorrenza internazionale, il Paese è sottomesso a una violenta transizione: industrie statali vengono vendute e gli operai licenziati; tutti devono lottare per garantirsi la sopravvivenza. Prima lo stato (o meglio l’unità di lavoro) garantiva stipendio, casa, scuola, salute, pensione. Ora niente di tutto ciò.
Il divario fra ricchi e poveri in Cina è pari a quello di un Paese del terzo mondo come lo Zimbabwe. La conclusione è che in Cina, accanto ai super-ricchi, vi sono almeno 170 milioni di disoccupati; 600 milioni di contadini impoveriti; 50-60 milioni di lavoratori migranti (con paghe sui 25-30 euro al mese!) e una marea di 250 milioni di persone insoddisfatte, pronte a cambiare e a scontrarsi col potere. E in effetti, non passa giorno senza che vi sia un conflitto sociale, una manifestazione, un sit-in, uno scontro con la polizia, coi segretari del partito, con i proprietari delle fabbriche, tutti accusati di corruzione, di arricchirsi a spese dei poveri. Di questo in Italia ne parla solo Asianews.it: i giornali tacciono.
Il governo predica la lotta contro la corruzione – si calcola che ogni anno scompaia dalle casse dello stato ca. il 14% del PIL! – ma la gente sospetta che vi sia implicato: i manager delle compagnie cinesi sono i figli dei leader del partito. Per salvaguardare la sicurezza e la stabilità sociale, l’unico mezzo a disposizione è il controllo: proibite associazioni libere; proibiti sindacati non governativi…


E le religioni? Anche quelle sono controllate per timore che divengano un canale dell’insoddisfazione popolare. Tanto più che la Cina – e questo è un miracolo – assiste a una rinascita religiosa sorprendente: le appartenenze religiose sono tutte in crescita e fra queste la religione cattolica si sta diffondendo nelle città fra poveri e ricchi. Persone deluse dal comunismo che ha tradito se stesso, dalla ricchezza cercata come la felicità, si rivolgono a sacerdoti e amici per diventare cristiani: vi sono almeno 150 mila battesimi di adulti ogni anno. Il fatto è ancora più stupefacente se si pensa che per 54 anni (dal 1949) il partito Comunista ha fatto di tutto per sradicare la fede dal cuore delle persone: preti arrestati, laici uccisi; vescovi condannati ai lavori forzati…
I cattolici sono stati i più perseguitati per il loro rapporto di fedeltà con il Papa, interpretato come un rapporto con una potenza nemica. In Cina non vi è famiglia cattolica che non abbia nella sua storia almeno un martire. Giovanni Paolo II ne ha canonizzati 120 l’1 ottobre 2000, ma molti cristiani stanno raccogliendo documentazioni e testimonianze per migliaia di martiri sotto il comunismo.
Un altro fallimento del regime è il tentativo di far crescere una chiesa ufficiale patriottica, permessa dal governo e staccata dal Papa. Anche se per decenni il partito ha nominato vescovi a suo piacimento, ormai l’85% dei vescovi patriottici sono in segreta comunione con il Papa e collaborano con la Chiesa sotterranea, quella che ha sempre rifiutato di farsi controllare dal governo.
Eppure l’unica chance per un futuro di pace in Cina riposa sulla libertà data alle religioni e alla Chiesa cattolica. Il conflitto sociale sta crescendo tanto che, se il governo non promette di lenire le piaghe della povertà ed aprire ad una maggiore democrazia, il Paese rischia uno scontro sociale ancora più forte di quello avvenuto nell’89, con il massacro di Tiananmen.
Secondo intellettuali, dissidenti e sociologi di università cinesi, la Cina ha bisogno del cristianesimo: la fede in Cristo dà il senso del valore assoluto dell’individuo, fondando la legalità, in uno stato malato di corruzione e crea una mentalità di amore e di carità che spinge alla solidarietà e a servire il popolo. Questo motto di Mao non si è realizzato con il marxismo: si realizzerà con il cristianesimo.


p. Bernardo Cervellera
Direttore di AsiaNews
da "Nuovo Progetto" Dicembre 2004






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