Il dolore che nasce dentro

Pubblicato il 09-08-2012

di Gabriella Delpero

di Gabriella Delpero - Vedere e riconoscere la sofferenza nelle persone che amiamo è molto difficile e faticoso. La storia di un bambino e della sua famiglia.

Giuseppe ha quasi 8 anni e frequenta la 2° elementare. I suoi genitori si sono lasciati pochi mesi fa, dopo un lungo periodo di feroci litigi, accuse reciproche, discussioni interminabili, ore e ore di astiosi silenzi. Il bambino è rimasto con la mamma, mentre il papà è tornato ad abitare con gli anziani genitori. Secondo papà e mamma Giuseppe non ha sofferto per la loro separazione: sembra anzi abbia tirato un sospiro di sollievo per la riconquistata pace domestica.

Il papà sostiene che adesso Giuseppe è contento di avere la mamma in esclusiva per sé, come ha sempre desiderato. Infatti non è più ostacolato nel suo intento di fare tutto ciò che vuole, cosa che sua moglie gli ha appunto sempre permesso; lui, invece, ha cercato a lungo di imporre al figlio qualche limite e regola di comportamento, ma senza alcun risultato. “Del resto – commenta con ironia – è inevitabile che vinca chi riesce a conquistarsi la simpatia dei bambini attraverso la via del tutto è permesso”. Giuseppe dal canto suo afferma di sentirsi ora molto meglio: gli piace stare col papà durante il week-end e sta altrettanto bene lungo la settimana con la mamma, che lo aiuta nei compiti e in tutto il resto. A scuola ci va volentieri e ha degli amici. Nessuno ha problemi, insomma.

E allora perché questa richiesta di aiuto? In realtà chi segnala una situazione a dir poco esplosiva sono le insegnanti, che hanno letteralmente minacciato i genitori di espellere il bambino dalla scuola se non si fossero decisi a rivolgersi urgentemente ad uno specialista. In classe, infatti, il clima è ormai invivibile: Giuseppe è violento e aggressivo con i compagni, contro i quali si scaglia fisicamente con tutta la sua forza. Nell’ultimo mese ne ha già spediti parecchi al pronto soccorso, tanto che il dirigente scolastico è dovuto intervenire più volte per tentare di calmare gli animi dei genitori (inferociti) delle vittime. Quando riesce a contenersi, Giuseppe rifiuta qualsiasi tipo di attività, incrocia le braccia e non parla più con nessuno. Oppure passa il tempo a rovinare il materiale altrui, interrompe le lezioni, fa lo spiritoso per suscitare l’ilarità dei compagni, chiede con insistenza di uscire dall’aula per recarsi in corridoio o in bagno: lì trova il modo di causare seri danni ad ambiente e arredi. Giuseppe rifiuta di riconoscere ogni responsabilità anche di fronte all’evidenza dei suoi comportamenti più distruttivi e sembra del tutto indifferente alla sofferenza causata ai compagni. C’è chi lo ha già definito un vero delinquente e pretende la sua immediata collocazione in qualche centro di recupero. È il ritratto di un bambino che i genitori non conoscono affatto. Il papà interpreta tutto questo come normale vivacità, mentre la mamma attribuisce ogni responsabilità alle insegnanti, incapaci di fare il loro mestiere.

Una possibile soluzione? Cambiare scuola, tutto qui. Vedere e riconoscere la sofferenza nelle persone che amiamo è molto difficile e faticoso, crea angoscia e fa star male. Meglio nascondersi dietro un meccanismo di negazione, raccontando a noi stessi che ciò che non vediamo in fondo non esiste. O almeno si può fare come se non esistesse, in attesa che la tensione si stemperi in modo naturale, per puro effetto del tempo, che aggiusta molte cose. Se poi si tratta di bambini, è fortissima la convinzione che tutto si metterà a posto quando saranno semplicemente cresciuti e maturati. Al contrario occorrono coraggio, grinta e onestà per affrontare i problemi qui e ora, andando dritto al nocciolo. Inutile usare troppa ipocrita prudenza: “il gatto con i guanti non acchiappa i topi!” (Benjamin Franklin).

Genitori e Figli – Rubrica di Nuovo Progetto

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