Messa a Shanghai

Pubblicato il 10-08-2012

di Mauro Palombo

di Mauro Palombo - In Cina sia la Chiesa patriottica che quella perseguitata cercano di costruire comunità e opportunità per dare speranza.

La Chiesa nascosta
Non sono famoso per la mia puntualità, ma per una volta almeno non ero del tutto responsabile del ritardo. L’albergo aveva fornito il riferimento di dove venisse celebrata messa in lingua inglese, ma il tassista aveva avuto difficoltà ad arrivarci. A Shanghai sono pur sempre dieci e più milioni di abitanti e parecchi tassisti sono immigrati interni giunti da non molto, sicché orientarsi non è banale neppure per loro. Siamo finiti in una zona non distante dal centro. La chiesa di San Pietro poi, grazie anche alla ampia strada sopraelevata costruita giusto di fronte, risultava poco visibile, se non proprio arrivandoci davanti. Qualche altro minuto è stato necessario poi per trovare la chiesa vera e propria, uno spazio ampio affollato di fedeli, ad uno dei piani superiori. Morale: la celebrazione era già iniziata. Mi è parso bene restare sul fondo. Ma il mio ingresso aveva subito suscitato l’attenzione di un anziano signore cinese che, col tipico movimento danzante a piccoli passi veloci, mi puntava diretto. Avevo fatto qualcosa di inadeguato, di non rispettoso? Non mi pareva, ma è un mondo diverso, sono qui da poco, non si può mai dire… No, sembra di no. Le parole non le intendo, ma il sorriso pieno di cortesia parla chiaro. Mi prende per mano e mi porta tra i banchi, finché ne trova uno i cui parecchi occupanti gli risultano comunque essere meno del possibile: qualche segno deciso per indicar loro di far spazio, e il gioco è fatto. Inchino, inchino: ci salutiamo e congediamo.

Saranno pure cose da poco conto, ma io quel viso me lo ricordo ancora. Conservava una dolcezza semplice e sincera nello svolgere questo compito di accoglienza, che sentiva importante, giustamente. Non riuscivo a non pensare a quante cose quell’anziano avesse visto e soprattutto vissuto nella sua vita; compreso quante durezze avrà molto probabilmente subito in un modo o nell’altro. Ma il segno che avevano lasciato era quello di una attenzione maggiore, di una responsabilità più importante.
Un incontro con la Chiesa in Cina. Il primo di altri, non meno belli, non meno toccanti.

Chiese o Chiesa?
Lo Stato controlla l’Associazione Cinese Cattolica Patriottica e ne fa la sola entità riconosciuta per i fedeli cattolici, guidata da una gerarchia di nomina politica. Il Vaticano resta solo uno Stato estero, le cui interferenze con la vita della Repubblica Popolare sono temute in maniera molto particolare, molto più di quelle dei capitali esteri che affluiscono per stanare il business. Il rapporto oscilla continuamente, ora con cauta apertura benché sempre informale – e si arriva alla nomina in parallelo di vescovi –, ora con nuove repentine persecuzioni, quelle che ancora oggi portano in carcere a lungo. Anche anziani vescovi, di cui da molti anni non si sa più nulla. In ciò che resta dei vecchi quartieri non ancora demoliti per far posto a grattacieli, chiesette e cappelle, che ricordano la storia di molti uomini e donne testimoni fino in fondo della loro fede e speranza, oggi, come recita un cartello, sono “chiuse per motivi di sicurezza”: forse strutturale, certo nazionale…

I cristiani cattolici sono divisi tra chi della Chiesa ufficiale fa parte e chi, nel nascondimento, a suo rischio e pericolo, mantiene fedeltà solo alla comunità ecclesiale rappresentata dal Papa. Ma forse la realtà, nella fatica, supera qualche schema umano, e si colloca su di un piano più alto. E realtà si coniuga a cambiamento. La tradizione stessa dell’Oriente si centra sull’assioma che il mutamento è la sola realtà davvero immutabile. Chiaramente lo Stato ambisce a controllarlo capillarmente in ogni suo aspetto. Non è facile in concreto, ancora meno se si parla di coscienze. Le autorità si trovano a fare i conti col problema e tentano, con ambiguità utilitaristica, di far quadrato sulla tradizione. Sondaggi alla mano, una qualche forma di ricerca interiore, spirituale, è sentita come necessità da un numero sempre crescente di cinesi. Si dice uno su tre, ossia tutti gli europei, malcontati. Lo svanire repentino della ideologia politica che occupava ogni aspetto, visione e speranza della vita, e il prorompere, almeno come immagine e prospettiva, del materialismo più spinto, per parecchi ha lasciato un vuoto da colmare.

La parola d’ordine è quindi canalizzare questa ricerca, se bloccarla non si può più. Alle religioni che hanno la forza della tradizione (buddismo, taoismo, confucianesimo) le autorità chiedono quindi di promuovere armonia sociale. L’armonia – valore fondante della disciplinata società cinese, concetto di grande respiro e profondità dell’essere – è in questo caso intesa con un orientamento ben preciso: “Tutto si svilupperà quando c’è armonia. Solo con armonia può quindi esserci sviluppo degli affari, e solo con esso la società può svilupparsi. Non ci può essere stabilità sociale senza armonia” (Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese, da South China Morning Post).

Essere comunità
La chiesa era davvero gremita, per una delle messe grandi della domenica, quella in lingua inglese, diretta alla comunità degli espatriati presenti in genere per lavoro. Dopo ci sarebbe stata quella diretta alla comunità coreana, da sola la più consistente presenza di cattolici stranieri. I fedeli presenti venivano letteralmente dai più vari angoli del mondo, una presenza davvero cattolica: Europa, America, un po’ di Africa, parecchia Asia: Cina, ma anche India, Bangladesh e altre ancora. Tutti in unità. Una emozione, una bellezza, un segno. Il segno della pace è fatto secondo la tradizione orientale, un inchino; lontano dalla formalità e dalla gerarchia, quello che vuole essere il saluto di un’anima.
Una comunità così cosmopolita si esprime in maniere diverse. Ciascuna componente, nelle varie salette dell’edificio che ospita la chiesa, sviluppa una sua presenza fatta di canti, di tradizioni. Ma tutti assieme hanno dato vita ad una Caritas, con progetti di aiuto a un lebbrosario, a una casa per anziani, a un orfanatrofio. E accoglienza spicciola ai migranti dalle campagne che nella megalopoli sperimentano sradicamento e vita molto dura.
Un gruppo di fedeli eterogeneo che cerca di essere comunità capace di essere segno e di occuparsi per il bene di miseri altrimenti abbandonati.



Passo dopo passo

Non è certo possibile oggi un censimento di quanti in Cina si riconoscono nella fede cattolica; le cifre comunque tendono ad essere considerevoli e crescenti. Shanghai, anche per quanto riguarda la vita della Chiesa in Cina, risulta un laboratorio di ciò che oggi può essere; forse di ciò che sarà. In questo senso, la chiesa di San Pietro ne è un aspetto, con un parroco che ha avuto l’opportunità di studiare anche in un seminario a New York, aperta a quelle che nella Cina dell’incerta e intermittente libertà religiosa sono novità. È una chiesa ufficiale, ma evidentemente con qualche possibilità in più: ritratti del Papa sono presenti in chiesa come in sacrestia; viene spiegato che non si può citarne le parole, ma è possibile pregare per lui. L’anziano Arcivescovo di Shanghai, il gesuita Aloisius Jin, pensa al futuro. In questa città, che da sempre è frontiera e luogo di movimenti epocali per la Cina, cerca di conciliare le varie esigenze costruendo passo dopo passo – come oggi è possibile – opportunità e comunità, cercando con pazienza ciò che unisce.

In un oriente apparentemente moderno, il potere non demorde, oggi anche sulle ali dell’economia. La legge dello Spirito, anche dove è difficile proclamarla, è però scritta nei cuori. E li anima a guardare oltre, più in alto. Speranza per tutti.

Zoom – Rubrica di Nuovo Progetto

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