Mercati in ripresa

Pubblicato il 14-09-2012

di Loris Dadam

di Loris Dadam - Gli USA stanno uscendo dalla crisi: produzione di beni materiali, crescita dell’occupazione, concorrenza, meno tasse, caratterizzano il passaggio dall’economia finanziaria a quella reale.

Concentrati sulla crisi europea, abbiamo un po’ perso di vista quello che succede dall’altra parte dell’Atlantico, da cui, ultimamente, provengono robusti segnali di ripresa economica. Da ottobre dell’anno scorso gli introiti fiscali dagli immobili, dal turismo e, soprattutto, dalle vendite al consumo, hanno ricominciato a crescere dopo la crisi del 2008. Gli esperti ritengono che la ripresa avrebbe potuto essere anticipata alla metà del 2009, se non fossero intervenuti uno straordinario aumento del costo del greggio petrolifero e la crisi del debito in Europa.

La ripresa dalla recessione è comunque lunga, perché bisogna risvegliarsi dalla sbornia della contrazione dei consumi, dei difficili crediti, del mercato immobiliare moribondo e dei drastici tagli ai bilanci pubblici centrali e locali.
L’indicatore più confortante di una inversione di tendenza è l’aumento dell’occupazione: da dicembre 2011 a febbraio 2012 sono stati creati 734.000 nuovi posti di lavoro, il tasso di disoccupazione è calato dello 0,7% (ora è 8,3%). È il miglior risultato dall’aprile del 2006. Dal canto suo, il PIL viene valutato con un aumento dal 3 al 5%.

I prestiti ai consumatori sono cresciuti del 5% nell’anno passato, sono aumentate le vendite di automobili e le costruzioni edilizie. Persino l’occupazione nel settore pubblico, che era diminuita di 655.000 unità fra l’agosto 2008 ed il dicembre 2011, ha cominciato a risalire.
In questi anni di crisi gli Stati Uniti hanno realizzato un riassetto della propria efficienza – eliminando sprechi in particolare nel settore energetico – che ha portato ad una riduzione del 10% del petrolio importato (9 milioni di barili al giorno contro i 10 milioni del 2008), ma soprattutto allo sfruttamento del gas proveniente da rocce scistose bituminose (shale gas), la cui industria di trasformazione ha creato 17.000 posti di lavoro e molti di più nell’indotto. Questo ha permesso di compensare la perdita a causa dell’aumento del prezzo del petrolio libico conseguente alla guerra.
La ripresa economica ha inoltre permesso di approvare alcuni piani di aiuti a Paesi esteri, fra cui 250 milioni di dollari per i programmi economici del nuovo Egitto ed un fondo di 770 milioni per tutto il Nord Africa.

Obama è anche pronto a ridurre le imposte per le imprese, portando il limite massimo dal 35% al 28%. Per il settore manifatturiero, inoltre, si dovrebbe scendere fino al 25%. Per evitare poi che le imprese possano portare impianti e produzioni fuori dai confini, è allo studio una tassa minima sugli utili esteri delle aziende americane multinazionali. I costi di questa riforma dovrebbero essere compensati da tagli a incentivi e sgravi per le imprese, in particolare nel settore energetico. Questa politica tesa a favorire le imprese, in particolare quelle industriali, con sgravi fiscali, sarà uno dei principali argomenti su cui si giocherà l’imminente campagna elettorale presidenziale: i repubblicani, infatti, vorrebbero un limite più basso alle imposte per le imprese e, per esempio Rick Santorum, sarebbe pronto, adirittura, ad azzerarle per il settore manifatturiero.

Dopo la sbornia della finanza allegra scoppiata nel 2008, quando ci si è accorti che dietro a tanti pezzi di carta, che valevano milioni, non c’era assolutamente nulla, in America si è sentita l’esigenza di tornare alla concretezza della produzione di beni: l’occupazione industriale, che ha visto un continuo declino dal 1998 al 2009, registra oggi una ripresa del 4% e la media oraria del lavoro industriale non è mai stata così alta dal 1945.
Alcuni analisti sostengono che probabilmente la ripresa sarebbe stata più veloce se il Presidente fosse stato meno indeciso e non avesse avuto paura di scontentare le grandi banche d’affari che hanno finanziato la sua campagna elettorale (Goldman Sachs, JP Morgan, Citigroup...).

Perché Obama vive la contraddizione, da un lato di essere stato appoggiato da Wall Street, dall’altro di avere vinto le elezioni perché gli americani hanno creduto che lui fosse l’uomo giusto per limitare lo strapotere dei banchieri e del capitale finanziario.
Quello che è importante, per noi, è che la più potente nazione del mondo stia dando un chiaro esempio che si esce dalla crisi riducendo le tasse e ridimensionando l’artificiale economia di carta degli anni scorsi per ritornare all’economia reale, alla produzione cioè di beni materiali e concreti per uomini in carne ed ossa.

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