La fede dopo il Concilio

Pubblicato il 08-05-2013

di Simone Baroncia

di Simone Baroncia - La Chiesa e i cristiani a 50 anni dal Vaticano II. Una riflessione di padre Bartolomeo Sorge, ex direttore di Civiltà Cattolica.

Papa Giovanni XXIII 50 anni fa, l’11 ottobre 1962, apriva solennemente il Concilio ecumenico Vaticano II, l’evento più importante della Chiesa del XX secolo, con queste parole: “La madre Chiesa si rallegra perché, per un dono speciale della divina provvidenza, è ormai sorto il giorno tanto desiderato nel quale qui, presso il sepolcro di san Pietro, auspice la vergine Madre di Dio, di cui oggi si celebra con gioia la dignità materna, inizia solennemente il Concilio ecumenico Vaticano II. Tutti i Concili, sia i venti ecumenici sia gli innumerevoli e da non sottovalutare provinciali e regionali, che sono stati celebrati nel succedersi dei secoli, attestano con evidenza la vitalità della Chiesa cattolica e sono iscritti come lumi splendenti nella sua storia. Nell’indire questa grandiosa assemblea, il più recente e umile successore del principe degli apostoli, che vi parla, si è proposto di riaffermare ancora una volta il magistero ecclesiastico, che non viene mai meno e perdura sino alla fine dei tempi; magistero che con questo concilio si presenta in modo straordinario a tutti gli uomini che sono nel mondo, tenendo conto delle deviazioni, delle esigenze, delle opportunità dell’età contemporanea”.

Parte da qui il dialogo con il gesuita padre Bartolomeo Sorge, ex direttore di Civiltà Cattolica e Aggiornamenti Sociali, che appena trentenne vedeva dal colonnato del Bernini la lunga colonna dei porporati di tutto il mondo. “Come ogni svolta – dice – anche il Concilio Vaticano II si può considerare insieme punto d’arrivo e punto di partenza, fonte di novità nella continuità. L’annunzio che Giovanni XXIII ne diede il 25 gennaio 1959 nella basilica di San Paolo giunse infatti inatteso, ma non improvviso. In certa misura, la Chiesa vi era stata preparata dai fermenti teologici e pastorali che da tempo animavano la comunità cristiana, primi fra tutti il movimento biblico, quello liturgico, quello ecumenico e quello laicale. Non tutti, però, compresero la portata reale della svolta.

In che senso?

Da una parte, i tradizionalisti ne sminuirono il valore, fino a cadere nello scisma (Lefèbvre); dall’altra, i contestatori ne esagerarono la novità fino a scorgervi una rottura con il passato. A 50 anni di distanza entrambe queste interpretazioni estreme appaiono decisamente smentite. Il grande evento ecumenico appare invece come un momento straordinario di crescita per tutta la Chiesa. Le acquisizioni dottrinali e pastorali del Concilio non solo non hanno intaccato l’insegnamento bimillenario della Chiesa, ma piuttosto lo hanno aggiornato e arricchito, come lo stesso Giovanni XXIII aveva auspicato nel discorso d’apertura. Così è stato. Nella storia della Chiesa si è chiusa un’epoca e se n’è aperta un’altra.

Quali sono i balzi in avanti della Chiesa compiuti in questi anni?

Il primo è stato l’aver spostato l’accento dall’ecclesiologia societaria all’ecclesiologia di comunione. Ciò significa che la Chiesa non si può più considerare, come avveniva prima del Concilio, una società perfetta, un tempio chiuso, riservato ai fedeli cattolici, ma è una comunità aperta, popolo di Dio in cammino attraverso la storia; è lo stesso Corpo mistico di Cristo, al quale “in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza”. Il Concilio non nega affatto che il divino Fondatore abbia voluto la Chiesa come un’istituzione visibile, ma mette in luce che l’istituzione è subordinata al mistero di comunione degli uomini tra di loro e con Dio. “La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”, secondo l’espressione della Lumen Gentium.

Il secondo balzo in avanti del Concilio è stato l’aver messo bene in luce la dimensione storica della salvezza.

Cosa significa?

Cristo è Dio fatto uomo che entra nella storia del mondo, l’assume e la ricapitola in sé. L’incarnazione, quindi, si compie nella storia dell’umanità, attraverso tutte le epoche e le culture. Ecco perché la Chiesa, che continua l’incarnazione e la attua, s’incarna nella storia e cammina con il mondo, sentendosi “realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”.

Il terzo importante balzo in avanti sta nella rivalutazione dell'autonomia e della laicità sia delle realtà terrestri, sia della missione propria dei fedeli laici. La salvezza evangelica e la promozione umana, pur essendo distinte, non sono estranee una all’altra; tra i due piani non vi è dicotomia o dualismo, ma integrazione e complementarità. Perciò, il Concilio ha ripensato in modo nuovo il rapporto tra fede e storia, tra Chiesa e mondo.

Questi tre aggiornamenti teologici sono stati possibili grazie alla riscoperta della Parola di Dio. Infatti, il Concilio Vaticano II ha restituito alla Sacra Scrittura il valore di fonte primaria da cui promana la teologia e ha messo in luce l’unione strettissima che c’è tra Sacra Scrittura e Tradizione: “La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa”, si legge nella Costituzione Dogmatica Dei Verbum.

Che significato assume l’Anno della fede voluto da Benedetto XVI proprio a 50 anni dal Concilio Vaticano II?

Gli ultimi pontefici, in particolare Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, vedendo venire questa crisi di purificazione, hanno preparato i cristiani ad affrontarla con coraggio. Le difficoltà, ha detto papa Benedetto XVI, provengono non solo dai condizionamenti esterni, ma anche dai peccati e dalle infedeltà interni alla Chiesa: “La più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa. E quindi la Chiesa ha profondo bisogno di reimparare la penitenza, di accettare la purificazione”. Nella profonda crisi di fede favorita dal diffondersi del secolarismo, del nichilismo e del relativismo morale che insidiano le intelligenze e le coscienze, sempre papa Benedetto XVI ha affermato che "tanto più importante è perciò che la fede cattolica si presenti in modo nuovo e vivo e si mostri come forza di unità, di solidarietà e di apertura all’eterno di ciò che è nel tempo”. Di fronte alla deriva del positivismo e dello scientismo, che negano la verità e la consistenza di tutto ciò che supera i sensi e non è sperimentalmente verificabile, “la religiosità deve rigenerarsi e trovare così nuove forme espressive e di comprensione. L’uomo d’oggi non capisce più immediatamente che il Sangue di Cristo sulla Croce è stato versato in espiazione dei nostri peccati. Sono formule grandi e vere, e che tuttavia non trovano più posto nella nostra forma mentis e nella nostra immagine del mondo, che devono essere per così dire tradotte e comprese in modo nuovo”.

Certo, ammette il papa, non si può negare che vi sia discontinuità
nel modo con cui il Concilio ha definito la relazione tra fede e scienza, tra Chiesa e Stato moderno, tra cristianesimo e religioni del mondo; tuttavia i principi evangelici di fondo restano i medesimi, è cambiata solo la forma della loro applicazione a contesti nuovi: “Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto e approfondito la sua intima natura e la sua vera identità”. Pertanto, conclude il papa, la vera chiave di interpretazione del Concilio è l’ermeneutica della riforma, che aiuta a coglierne la novità nella continuità.

Speciale - La fede ha una mano in più 2/6

L’uomo e Dio, l’Occidente e la fede, l’indifferenza che si fa spazio specie tra i giovani. Ma le statistiche non rendono ragione ad una sete di Dio che continua ad esistere. C’è un vissuto di fede che scorre attraverso mille rivoli. In ogni angolo del mondo, in ogni piega del cuore, nonostante tutto. Percorsi di fede reali, concreti. Oggi, come ieri, possibili.

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