Amare significa...

Pubblicato il 20-08-2013

di Gabriella Delpero

di Gabriella Delpero - “Amare qualcuno significa essere l’unico a vedere un miracolo che per tutti gli altri è invisibile”. È una frase scritta da Francois Mauriac che mi ha fatto molto riflettere.

Possibile che un semplice sguardo, un diverso modo di vedere l’altro possa fare tanta differenza? Se penso a come sono insistenti i bambini piccoli nel richiedere di essere attentamente osservati dai genitori mentre corrono, disegnano o fanno qualsiasi altra banalità mi dico che forse è vero. “Guarda, mamma, che salto alto faccio!”. “Guarda, papà, come vado forte in bicicletta!”. “Guarda, nonna, che bella maglietta ho messo oggi!”.

Una mamma mi raccontava che la sua bambina di dieci mesi le prende spesso il viso tra le manine per costringerla a volgere lo sguardo verso di lei ed assicurarsi così la sua massima attenzione: “La bambina vuole i miei occhi!” commentava felice. Tutti amano essere guardati. Guardare una persona è come dirle: “Ti vedo, tu esisti, tu conti per me!”. Se invece penso a come molti genitori guardano i propri figli mi sorge qualche dubbio: ci sono quelli che vedono direttamente un campione olimpico mentre stanno ammirando i propri bambini impegnati in una partitella di calcio o in una gara di nuoto o nella loro prima discesa sugli sci. Altri sognano palcoscenici, applausi e premi oscar ogni volta che assistono ad una recita scolastica. Non sono pochi nemmeno coloro che vedono la reincarnazione di Mozart in ogni bambino che prende in mano uno strumento musicale. Ma quelli sono veri miracoli o solo sogni sovente ben superiori alle reali possibilità del piccolo? Al bambino probabilmente in quel momento poco importa: quello che conta per lui è avvertire intorno a sé l’ammirazione, la stima, il tifo degli adulti. Per poter credere in se stessi e nelle proprie capacità i bambini hanno infatti bisogno di sentire che ci credono innanzitutto i loro genitori (o i nonni, gli insegnanti, gli allenatori, i catechisti, chiunque svolga un ruolo educativo…).

Il tifo trasmette entusiasmo, allegria e voglia di provarci. Gli incoraggiamenti in genere ottengono più dei rimproveri e una singola iniezione di fiducia è meglio di una cronica cura a base di prediche.

Il maggior bene che possiamo fare a un figlio non è lasciargli le nostre ricchezze, ma rivelargli le sue e aiutarlo tutti i giorni a tirarle fuori! Certo anche in questo ci vuole equilibrio e buon senso: si parla di ricchezze reali da valorizzare, non di qualità inesistenti da esibire per superare ad ogni costo gli altri. Purtroppo le due cose non sono sempre così facili da distinguere. Capita spesso che adulti troppo ambiziosi e molto miopi finiscano col rendere la vita decisamente pesante ai propri ragazzi, costringendoli a intraprendere studi, attività sportive o artistiche assolutamente non adatti o non proporzionati alle loro effettive doti e capacità. Lo fanno senza rendersi conto che stanno solo inseguendo la soddisfazione dei propri desideri o la compensazione delle proprie frustrazioni: lo sguardo è distorto, deviato. Non è quella la direzione cui puntare, l’orizzonte da scrutare. Un ragazzino di 12 anni un giorno mi ha detto: “I miei tutto il giorno non mi vedono quando studio, hanno sempre gli occhiali scuri. Se li tolgono solo la sera quando è ora di guardare il diario. Se ho preso un brutto voto, mi sgridano e se ne ho preso uno bello dicono che avrei potuto fare di più!”.

Guardano, ma non vedono. Guardare è spontaneo, vedere una conquista. Ecco, forse amare significa cercare di vedere in profondità quel che sfugge a un semplice sguardo.

Psiche - Rubrica di Nuovo Progetto

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok