Speranza e disperazione

Pubblicato il 13-01-2014

di sandro

di Sandro Calvani* - I migranti internazionali dall’Asia verso i Paesi OCSE sono circa un terzo di tutti i migranti entrati nelle grandi economie del mondo. I migranti asiatici in un altro Paese dell’Asia e del Pacifico nel 2010 erano 31,5 milioni, che tre anni fa rappresentavano poco meno del 15% del totale di migranti nel mondo. Ma il continente Asia e Pacifico ospita più della metà della popolazione mondiale (3,7 miliardi di persone) ed è quindi ovvio che anche le sue migrazioni cresceranno presto fino a rappresentare oltre la metà degli oltre 105 milioni di migranti che finora hanno lasciato il proprio Paese per vivere e lavorare in un altro. Un numero crescente di Stati falliti contribuirà a creare masse crescenti di rifugiati economici, cioè gente costretta a migrare a causa di guerre e conflitti o condizioni disperate di sicurezza alimentare ed economica.

I principali Paesi asiatici come India e Cina sono Paesi di origine ma anche di destinazione e di transito per i migranti di propria volontà del continente asiatico. La crescita della disuguaglianza economica all’interno dei Paesi, sia ricchi che poveri, e tra i Paesi anche distanti e molto diversi, insieme alle dinamiche della popolazione rappresentano un’enorme forza centrifuga che spinge molti giovani adulti a sognare di cercar fortuna e dignità in un altro Paese; ma sono soprattutto i cervelli migliori e coloro con maggior attitudine al rischio ed al successo che partono davvero e restano poi all’estero per periodi molto lunghi, spesso per sempre. Oltre alle forze che spingono a uscire dal proprio Paese ci sono le forze economiche e sociali che attraggono verso i Paesi di destinazione: l’Australia sta già mantenendo il proprio livello di popolazione attuale attraverso l’immigrazione, il Giappone prevede un calo di popolazione del 40% entro il 2060 e sta ipotizzando politiche di attrazione di migranti, simili all’Australia.

Oltre 6 milioni di migranti sono ospiti di Australia e Nuova Zelanda e le loro politiche del lavoro temporaneo attraggono molti lavoratori stagionali. Gli Stati del Pacifico sono tra le regioni con la maggior percentuale al mondo di propri cittadini emigrati: 1,5 milioni di emigrati dal Pacifico rappresentano il 37% del totale dei cittadini di alcune isole.

Alcune economie a forte innovazione tecnologica come Corea, Singapore, Hong Kong, gli Emirati Arabi ed altri Paesi del Golfo mantengono la propria capacità di richiamo di giovani con competenze specifiche e di grandi numeri di lavoratori manuali per i lavori casalinghi, industriali e dell’edilizia pubblica e privata. Così circa il 43% dei migranti asiatici dall’India, Indonesia, Filippine e Vietnam resta all’interno del continente, mentre poco meno del 60% va nel resto del mondo. I lavoratori migranti dall’Asia del sud verso i Paesi arabi sono il gruppo più grande con oltre 1,5 milioni di migranti intra-asiatici, mentre i migranti verso l’Europa sono il gruppo più grande con destinazione in un altro continente.

Commerci ed investimenti, turismo, innovazione sociale ed economica sono tra gli impatti più importanti delle migrazioni sul progresso asiatico, e fra tutti le rimesse dei migranti sono il dato più eclatante: la Banca Mondiale stima che le rimesse, ormai oltre i 500 miliardi di dollari l’anno, rappresentano un flusso di denaro verso i Paesi poveri che è più del doppio di tutto il resto dell’aiuto allo sviluppo dei governi e delle ONG. Per di più le rimesse dei migranti arrivano direttamente ai loro familiari, non subiscono tagli per la corruzione, né provocano danni collaterali come certi mega-progetti governativi. Essendo soldi privati guadagnati con fatica sono subito investiti dai familiari in miglioramenti essenziali nella loro vita, come l’habitat, l’educazione, la salute. Anche i consumi e la crescita economica sono più stimolati dalle rimesse dei migranti che dagli aiuti allo sviluppo.

Ci sono poi le migrazioni temporanee di grandi numeri di studenti universitari e di malati che cercano cure migliori di quelle disponibili nel proprio Paese; e infine le nuove migrazioni di pensionati che stanno diventando un settore imprevisto di crescita delle economie di medio reddito che si avvantaggiano di un ottimo settore dei servizi, come Thailandia, Indonesia, Malesia, che offrono il loro ottimo clima ed accoglienza di qualità a prezzi bassi.

I migranti non di propria volontà in Asia sono vittime di traffici e di persecuzioni politiche o conflitti etnici, popolazioni sfollate per disastri naturali o causati dall’uomo, acuiti recentemente dal cambio climatico, oltre ai rifugiati asiatici propriamente detti, vittime di persecuzioni politiche, che rappresentano la percentuale più alta di tutto il mondo.

La crescita economica asiatica molto diseguale sia tra Paesi che tra aree urbane ed aree rurali porta con sé anche grandi carenze di manodopera in alcune aree geografiche e in alcune attività. Così ad esempio un Paese attira pescatori, un altro operai delle costruzioni ed un altro operatori di call centers o di information technology. Ma la politica di libera circolazione della mano d’opera è molto carente, cosicché i flussi di migrazione sono quasi ovunque limitati da diverse variabili: la difficoltà di ottenere un visto, la difficoltà di ottenere il ricongiungimento familiare, la discrezionalità nella concessione dei permessi di lavoro, varie forme di discriminazione nel mercato della casa, nell’offerta di educazione primaria e secondaria per i figli di stranieri… L’unica categoria di lavoratori migranti che si avvantaggia di diversi privilegi e protezioni è l’elite di professionisti ad alta specializzazione, in tutti i campi, dalla scienza all’università, dall’economia all’alta finanza, dalla medicina all’educazione. Perciò quasi tutti i Paesi poveri asiatici soffrono di una crescente fuga di cervelli a favore di altri Paesi asiatici più ricchi o di altri continenti. E pochi dei cervelli fuggiti rientrano più tardi nel mercato del lavoro del proprio Paese.

L’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ha dichiarato che: “La possibilità per i migranti di contribuire a trasformare i loro Paesi di origine ha catturato l’immaginazione di autorità nazionali e locali, le istituzioni internazionali e del settore privato. Vi è un crescente consenso sul fatto che i Paesi possano cooperare per creare vittorie triple per i migranti, per i loro Paesi d’origine e per le società che li accolgono”.

I leader politici asiatici non hanno ancora compreso e accettato tutti i benefici che potrebbero venire da flussi liberi e protetti di migrazioni ed in generale vedono le migrazioni più come un problema che come un’opportunità. Uno stimolo importante alle politiche di migrazione dell’Asia verrà dal mercato comune ASEAN che entrerà in vigore alla fine del 2015. I dieci Paesi ASEAN – Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam – favoriranno un libero scambio di lavoratori e dunque miglioreranno quantità e qualità delle migrazioni. Grazie ad accordi di collaborazione con altri Paesi asiatici, come India, Cina, Giappone ed Australia, l’esperimento pilota ASEAN avrà certamente un impatto positivo anche sugli altri Paesi del continente.

*Dr. Sandro Calvani, Senior Adviser on Strategic Planning, Mae Fah Luang Foundation (under Royal Patronage), Bangkok, Thailand www.maefahluang.org www.sandrocalvani.it
Consigliere per la pianificazione strategica, Mae Fah Luang Foundation (con il patrocinio reale), Bangkok, Thailandia.
www.maefahluang.org

Orientarsi - Rubrica di Nuovo Progetto (agosto - settembre 2013)


FOTO MAX FERRERO / SYNC

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