Che la crisi almeno serva

Pubblicato il 15-05-2014

di Gian Mario Ricciardi

di Gian Mario Ricciardi - Cerreto Guidi (Firenze). Un uomo di 54 anni di Pistoia s’infila di notte in una palazzina, sradica fili elettrici in sei appartamenti. Si porta via poco meno di cinquanta euro di rame, fa danni per seimila. Fermato, accusato di furto, processo per direttissima.

Paolo Pedrotti, costruttore di quelle case, non l’aggredisce, non lo insulta, non lo copre di contumelie, gli offre un lavoro. “È venuto a rubare con l’auto della moglie, ma che delinquente può essere? È solo un’altra storia triste provocata dai soldi che non ci sono. Il mio pensiero è andato ai suicidi della grande recessione mondiale. Ho capito che è uno degli ultimi e gli ho offerto di entrare nel cantiere, tagliare l’erba, pulire le case con la moglie. Per vivere”.

Quando la crisi ti arma la mano, il dramma delle imprese diventa tragedia. A Torino dove la Confindustria ha scelto di urlare che la pazienza è finita, dove è stata la presidente della Camera Laura Boldrini di ritorno dall’amarissimo addio a Civitanova Marche ad altre vittime dell’inarrestabile tsunami, un imprenditore ortofrutticolo, Luigi Melillo di 61 anni, si sdraia sul letto e si uccide con il fucile da caccia.

Guidava una piccola azienda al Caat di Orbassano, il centro dove passano verdura e frutta, una persona perbene, ottimo commerciante, stimato, apprezzato, un alloggio nel quartiere medio borghese di Mirafiori non lontano dal palco dove i suoi colleghi impresari chiedevano aiuto. Lui no, non l’ha chiesto.

Aveva tanti debiti, l’angoscia lo aveva spinto a bussare alle porte di una finanziaria. Tentava di salvare l’azienda, di lasciarla a posto e riposarsi un po’, dopo una vita di sveglie nel cuore della notte, di nebbia e umidità in mezzo a quei camion che vanno e vengono, scaricano e ripartono. L’aveva detto alla sua compagna che voleva farla finita, l’ha fatto in un sabato di calma quando non arrivano solleciti di pagamento, fax, mail avvelenate e sgradite, ma l’ha fatto lo stesso.

Ecco due volti dei nostri brutti anni duemila con la nebbia che ogni giorno sale un po’. Le famiglie fanno conti e rinunce, ma sopravvivono e stanno ritrovando anche qualche refolo di speranza. La politica invece ha dato il peggio di sé. Dopo le elezioni, settimane e mesi di liturgie stanche e lontane dalla gente, troppo tempo perso tra incroci di veti ed obiettivi a volte nascosti.

Giorni e giorni in mano ad inutili cacciatori di vento. Se le luci, come succede per ogni alba, però si sono accese, dobbiamo ringraziare gente come quel manager fiorentino, milioni di persone che hanno stretto la cinghia e camminano ancora, con i figli per mano. Quelli che non ce l’hanno fatta ce li portiamo dentro come i morti di una guerra che ha fatto disastri paragonabili soltanto alle macerie del dopoguerra. Sarà ancora dura, forse l’elenco di chi resta indietro s’allungherà, forse racconterà ancora storie di cattiveria e grettezza, ma se moltiplicherà quelle che aprono il cuore, almeno sarà servita a restituirci una società meno brutalmente egoista come quella che ci ha cresciuti.

Today - Rubrica di NP maggio 2013

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