Giovani e relazioni

Pubblicato il 08-03-2017

di Elena Marta

di Elena Marta* - Si legge spesso di ricerche dedicate ai giovani che li descrivono come una generazione autoreferenziale e individualista. Potranno quindi forse sorprendere i dati che in questi anni sono stati prodotti dal Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo che ha dato voce ai giovani italiani tra i 18 ed i 29 anni e ai loro coetanei europei. Affrontare la transizione all’età adulta significa differenziarsi dai propri genitori ma anche costruire una solida identità personale e sociale, compito che avviene in primo luogo entro il contesto familiare.

I giovani italiani, in buona compagnia con i loro coetanei francesi, tedeschi, inglesi e spagnoli, ci descrivono la loro famiglia come un contesto relazionale luogo di scambio e di supporto, di trasmissione di valori, ove è possibile esprimere il proprio sé. Le relazioni familiari aiutano a star bene con gli altri, a guardare la vita con fiducia, a rispettare le regole e a trovare un modo per affermarsi nella vita. Sono relazioni a cui i giovani – e soprattutto le giovani – guardano come fonte di crescita, di conferma della propria identità. Tanto influenti da determinare il partito per cui votare, fare o non fare volontariato, credere o non credere in Dio e anche esercitare un forte orientamento in merito al percorso di studi e alla carriera professionale.

Nello specifico, i giovani italiani vivono in famiglie che, per lo più, sono in grado di fornire supporto emotivo e strumentale ma anche di promuovere autonomia per la costruzione di una progettualità futura. In particolare, è la mamma la figura di riferimento principale, colei con cui i figli dialogano e a cui chiedono consigli in merito ai diversi aspetti della vita. Ritenuta capace di una dimensione tipica della relazione di cura – “dare in maniera disinteressata”, ossia senza attesa di restituzione – ma anche di farsi norma, riesce a bilanciare aspetti affettivi ed aspetti etici. La relazione con il padre, invece, sembra esser messa in ombra dalla relazione con il/la partner. Non sorprende che in questa fase della vita le relazioni amicali e, ancor più, quelle amorose occupino un ampio spazio nella vita dei giovani. I dati del Rapporto Giovani mostrano come questa generazione, non diversamente da quelle che l’hanno preceduta, sogni il matrimonio, dei figli… ma anche un lavoro stabile, la sicurezza di poter far fronte alle necessità di una famiglia. Certamente non è solo l’insicurezza lavorativa a rendere difficile la costruzione di una vita di coppia. Accanto a questa vi è una certa fragilità nell’interpretazione e gestione della relazione amorosa: una quota di centratura sui propri bisogni porta i giovani a privilegiare gli aspetti affettivi a discapito di quelli etici, di impegno all’interno delle relazioni affettive.

Tornano alla mente le parole di Fromm ne L’arte di amare: “È l’amore un’arte? Allora richiede sforzo e saggezza. Oppure l’amore è una piacevole sensazione, qualcosa in cui imbattersi, è questione di fortuna? Oggi si crede alla seconda. La gente non pensa che l’amore non conti. Anzi ne ha bisogno; corre a vedere interminabili serie di film d’amore, felice o infelice, ascolta canzoni d’amore; eppure nessuno crede che vi sia qualcosa da imparare, in materia d’amore. Questo atteggiamento si basa su parecchie premesse: la maggior parte della gente ritiene che amore significhi essere amati anziché amare (…). Una seconda premessa è che il problema dell’amore sia il problema di un oggetto del proprio amore (…). Il terzo, un errore, è la confusione tra l’esperienza iniziale d’innamorarsi e lo stato permanente di essere innamorati”.

Le ricerche sulle relazioni amorose dei giovani ci dicono di una difficoltà a trattare questi aspetti, esito di quanto le generazioni precedenti hanno saputo trasmettere al riguardo e di quanto sono state – o non sono state – modello al riguardo. Quest’ultima affermazione ci riporta ad una considerazione essenziale: capiremmo poco o nulla del mondo dei giovani e, in particolare, del loro modo di costruire, tessere, dare significato alle relazioni se non utilizzassimo delle lenti intergenerazionali.

Per i giovani di oggi, figli della crisi della partecipazione civica e politica, di un mondo che ha perso importanti corpi sociali intermedi, inestimabili arene sociali di crescita e di vita, sono poche le occasioni per un confronto di natura intergenerazionale al di fuori della famiglia. Questo non vuol dire però che i giovani non lo cerchino e non sia per loro importante. È questo un dato interessante che emerge dalla recente ricerca sui giovani volontari Expo, che in maniera inattesa hanno dichiarato la possibilità di relazioni intergenerazionali significative uno dei più importanti aspetti di quell’esperienza. Poter riscoprire il punto di vista dell’altra generazione, poter mostrare il proprio, fare qualcosa insieme per uno scopo comune, vivere momenti di convivialità ha prodotto il rafforzamento della relazione con l’altro adulto ma anche con la città. Molti di questi giovani hanno dichiarato che motore dell’azione di volontariato in quel contesto è stato il desiderio di restituire qualcosa alla propria città, all’altro generalizzato che la abita. Dunque non solo relazioni familiari per questi giovani o relazioni amorose, ma anche relazioni sociali, all’insegna del bene comune. Bella sorpresa, per chi la sa guardare con occhi disincantati ma anche sinceri e pronti allo stupore.

*Università Cattolica Sacro Cuore (MI)

FOTO: DIEGO BARBIERI / AUXILIUM FIAT TORINO

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