La via stretta della libertà

Pubblicato il 07-05-2017

di Claudio Monge

Di Claudio Monge - Si tratta per il momento di una notizia solo sussurrata, apparsa sul sito inglese Morocco World News, ad inizio febbraio, secondo la quale il Consiglio Superiore degli Ulema del Marocco, avrebbe rivisto una fatwa (avviso giurisprudenziale) del 2012, relativa alla pena di morte per gli apostati, riproponendo una comprensione più coerente della legislazione islamica, secondo la quale l’interpretazione radicale riguarderebbe non l’aspetto religioso dell’abbandono della fede quanto l’alto tradimento politico dell’unità nazionale.

Il Consiglio, ricorda, tra l’altro, che il Corano stesso parla più volte di coloro che rinnegano l’islam e del loro castigo eterno ma, di fatto, non fa mai menzione di punizioni in questa vita. Il dibattito su questa materia non è una novità ed è molto complesso. Prima di tutto perché nell’islam si discute molto sulla definizione stessa di apostasia: nella parola? Nel cuore? Nei fatti? Vi sono perfino musulmani che vengono giudicati apostati e, in tal caso, la questione dell’apostasia diventa chiaramente uno strumento per eliminare chi non la pensa secondo il pensiero dominante.

La sentenza che emerge in Marocco mette in evidenza degli aspetti politici sempre più rilevanti: prima di tutto, come gestire una società multi religiosa? In secondo luogo, come situarsi nel contesto degli accordi internazionali che, per esempio, sanciscono il diritto alla libertà di coscienza e di religione? L’apostasia nell’Islam tocca il campo del diritto e della legge, in un contesto culturale in cui, tradizionalmente, il sistema giuridico è religioso e fa corpo con la teologia. In altri termini, legge e religione sono due parole indissociabili e la legge divina (sharī‘a) abbraccia tutti gli aspetti della vita umana, in un amalgama complessa tra legge di ispirazione divina e diritto positivo o civile. Ma la sharī‘a stessa, pur essendo un sistema globale resta solo embrionale necessitando un sistema più normativo che è la scienza del diritto (fiqh in arabo), che significa letteralmente la comprensione giuridica della sharī‘a. Ora, in Paesi post-coloniali come il Marocco, il diritto mussulmano è stato fortemente depotenziato e ridotto a statuto personale, creando una sorta di schizofrenia tra vita reale e retaggi culturali tradizionali. In Marocco, per esempio, già da tempo non è contemplata la pena di morte tout court e il Codice penale parla di detenzione per l’apostata che può arrivare fino a tre anni. Ma, fino ad ora, se il codice penale già inquadrava l’apostata con la detenzione, l’interpretazione religiosa non l’aveva mai graziato dalla morte.

Non basterà dunque, il pronunciamento del più alto organo religioso del Paese per esaurire in breve tempo il dibattito in corso che rappresenta la vera sfida per un islam dal volto umano, che sappia conciliare fede e diritti dell’uomo.



Claudio Monge

LEVANTE

Rubrica di NUOVO PROGETTO

FOTO: MAX FERRERO/SYNC

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok