Sono nate nelle mie mani

Pubblicato il 27-09-2017

di Mauro Palombo

a cura di Mauro Palombo - Suor Dalmazia Colombo si racconta. Alzare lo sguardo. Ogni momento, ogni occasione, quella buona per rinnovare un incontro di vita che dà senso alle cose. Nella logica semplice del testimoniare l’amore nella presenza e nel servizio accanto agli altri. La riflessione mi è nata a messa, rito ambrosiano, in cui veniva letto il Vangelo di Gesù dell’obolo della vedova. Dice l’evangelista che Gesù «alzando lo sguardo vide…».

Ed è questa l’esperienza, che desidero condividere. Da tempo incontro, nei più svariati posti del Mozambico – e non solo – persone che “alzando gli occhi” verso di me, mi vedono. E cosa vedono? Ecco. Un giorno, siamo nel 1995, mi trovavo in viaggio e, improvvisamente, il fuori strada va in panne. Mi trovavo in un zona dove non avevo mai lavorato e il villaggio si vedeva a distanza.

Sembrava che nessuno potesse notarci, ma no, dopo qualche tempo ecco arrivare quella che sembrava una famigliola, che vedendomi, mi chiamava per nome. Mi avevano conosciuto nel 1966-69 a Etatara, a 500 km da lì, dove si trovavano per lavoro. Mi riconobbero e: l’uomo ricordava che gli avevo tolto un dente… con l’anestesia; la donna più anziana che l’avevo assistita nel parto della sua «ultima sorte»; la più giovane ricordava che nel giorno del matrimonio le avevo aggiustato il velo da sposa.

Nel 2015, mi trovavo a Nipepe dove i cristiani erano giunti in pellegrinaggio da tutta la diocesi di Lichinga, per celebrare la beatificazione di suor Irene Stefani, missionaria della Consolata, proprio nella missione dove fece il “miracolo dell’acqua”. Era quasi sull’imbrunire, e ci trovavamo in ordine sparso in una radura alberata in attesa di iniziare la processione. Improvvisamente mi sento abbracciare da una donna piccola di statura, che commossa ripeteva il mio nome.

Era la prima volta che andavo a Nipepe… stavo allora per chiederle chi fosse, ma fu lei che esclamò: «Sono Teresa Cauti… di Massangulo». Non ci potevo credere. A Massangulo ero stata nel 1965 e non ero più tornata. Anch’io ricordavo Teresa Cauti, la ragazzina che desiderava tanto giocare a pallacanestro, ma non poteva perché troppo piccola… e tanto a malincuore aveva dovuto ripiegare su qualche altra attività. Lichinga 2016. Camminavo nella via principale della città, accompagnata a padre Neves che vi era stato parroco e dove tutti lo conoscevano, fermandolo ad ogni piè sospinto. E sempre mi presentava: io avevo lavorato in diocesi nel 1993. Al sentire il mio nome, la persona che sembrava avere tutt’occhi per padre Neves, alza lo sguardo verso di me e: «Sono Estevão». E parlando scoprii che il pezzo d’uomo, papà felice, autista e meccanico… aveva frequentato il corso di formazione pagandosi gli studi con i lavori di uncinetto che faceva e che io gli comperavo.

Dal 1996 al 2000 avevo insegnato alla università cattolica e in seminario. Poi fui trasferita in Italia, tornando poi in Mozambico nel 2011. Un ritorno di incontri. Ricordo quello in aeroporto a Lichinga – dove avevo insegnato anche bioetica parlando di prevenzione per l’AIDS – con tre avvocati, ex alunni che al vedermi mi dissero: «Siamo tutti vivi, sposati, con figli sani…». Un modo efficace per dire che delle lezioni non si erano proprio dimenticati.

Che dire dell’emozione di incontrare sacerdoti e anche qualche vescovo ex alunno che ricorda particolari delle mie lezioni… suore mozambicane, anche missionarie per il mondo… una mi dice che le ho salvato la vita buttando via le medicine per la malaria che la stavano avvelenando…. e poi non si contano le famigliole… e le “Dalmazie”...

Mi capita di ricevere telefonate da persone che desiderano almeno sentire la mia voce… perché le loro mamme raccontano che «sono nate nelle mie mani…». Sono certa che questo avviene non solo a me, ma a tutti quanti sono passati nel mondo «alzando lo sguardo verso il prossimo» con piccoli gesti. Un sì alla vita, in ogni condizione.

Mauro Palombo
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