Vescovo coraggio

Pubblicato il 28-10-2017

di Renzo Agasso

di Renzo Agasso - Antonio Riboldi, rosminiano, vescovo, 94 anni. È la carta d’identità di un “combattente” del Vangelo e della giustizia.
Chi si ricorda? «Ci fu un tempo che era scomodo portare in giro il nome Riboldi. Mi piovevano addosso insulti, insinuazioni, sospetti. Chi è questo prete, cosa vuole, perché non la smette?», raccontò un giorno lui stesso.

Quel prete era stato spedito un giorno del 1958 a fare il parroco a Santa Ninfa, nella valle del Belice, Sicilia. Lui, brianzolo, la vocazione dell’insegnamento, rifiutò spiegandone per lettera i motivi al superiore, e concludendo: «Ho scritto quel che ho scritto pregando lo Spirito Santo». Risposta: «Non so quale Spirito Santo abbiate pregato: il mio ha detto che partiate entro quarantott’ore».

Vent’anni in Sicilia: 1958-1978. In mezzo – 1968 – il terremoto del Belice. Voleva tornare al nord. Restò lì. Diventando ben presto la guida, il pastore generoso e coraggioso di quella moltitudine smarrita e abbandonata. Gridò forte i diritti dei terremotati, portandoli a Roma davanti ai palazzi del potere. Si scontrò coi mafiosi e i loro sporchi giochi sulla pelle e sulle macerie del Belice. E diventò scomodo portare in giro il nome Riboldi.

Vent’anni così potrebbero bastare: ma nel 1978 – mentre progetta di tornare al nord e di tirare il fiato – Paolo VI lo nomina vescovo di Acerra, nel napoletano, terra di camorra, povertà, desolazione. La zona più povera d’Italia. Non si tratta soltanto di messe, benedizioni, visite e messaggi. C’è da ricostruire la diocesi, da tempo senza guida. Si tratta di “rubare” i giovani alla delinquenza. Si tratta di gridare il nome di Dio.

Lo minacciano, lo insultano, lo attaccano. Gli danno la scorta. Anche i terroristi rossi vogliono farlo fuori. Scomodo portare il nome Riboldi. Così per altri vent’anni, fino al 1999, al ritiro per raggiunti limiti di età. Dopo aver rinnovato la faccia di quella terra tormentata.
Dopo aver parlato, scritto, marciato contro le mafie – una marcia anche a Ottaviano, la “capitale” del boss Raffaele Cutolo – dopo aver accolto pentimenti di camorristi e brigatisti in carcere, dopo aver testimoniato instancabilmente in tutta Italia la sua fede nel Vangelo e nell’uomo.

Guidato da una citazione di Charles Péguy: «Un mondo di inchini non vale la genuflessione diritta di un uomo libero». È la storia di Antonio Riboldi, che ha messo Dio al centro. E dunque mafia, camorra, terrorismo, terremoto, nulla può fare paura.

Renzo Agasso
PEOPLE
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok