Tutto il mondo è felice

Pubblicato il 06-11-2017

di Marco Grossetti

di Marco Grossetti - Per Fadwa il viaggio in macchina attraverso Spagna e Francia è stato come la luna di miele che non si era mai potuta regalare: la meraviglia per i posti bellissimi che scorrevano davanti ai suoi occhi, l’attesa per il bambino che portava in grembo, la voglia di una nuova vita in Italia con l’uomo che era tornato in Marocco apposta per prendere lei. Un uomo che non aveva scelto di amare, ma che da quel momento in poi avrebbe rispettato, accettato e voluto accanto a sé per sempre, come la sua famiglia aveva stabilito. Diretta verso un mondo nuovo dove parlavano una lingua incomprensibile e faceva un freddo a lei sconosciuto, il velo sopra i capelli, la pancia gigante e la consapevolezza che dentro cultura e tradizione ci sono rinunce e costrizioni che fanno cadere il tuo cuore, passi fatti per forza più che per amore. Fadwa racconta comunque di avere molta più paura di tante cose brutte e tristi che avrebbe visto in Europa e sentito chiamare amore.

Rita ha sentito che quello era il momento di partire e lo ha fatto. Partire, anche se la sua mamma era appena salita in cielo e lei avrebbe dovuto diventare mamma dei fratellini e delle sorelline che aveva accanto. Partire, perché la felicità che arriverà un giorno è fatta di lacrime che ti scendono sul viso e fanno a pezzi il tuo cuore adesso. Rita ha lasciato la Nigeria maledicendo la corruzione di un Paese dove ci sarebbero soldi e ricchezze per tutti, invece potere e benessere sono concentrati nelle mani di pochi e i giovani hanno una sola ragione per alzarsi la mattina: partire e raggiungere l’Europa come ha fatto lei. Partire per non tornare indietro mai più, l’unico motivo che dà un senso alla loro vita. Rita si è costruita un pezzo alla volta da sola. Un lavoro, una casa, un matrimonio, un negozio, una bambina, poi due negozi. Rita ha incominciato ad ammassarci dentro qualsiasi cosa che avrebbe potuto rivendere ad un prezzo più alto, piccoli supermercati dove la gente poteva trovare tutto e lei poteva anche mandare qualche soldo indietro in Africa.

Anche Fadwa ha imparato presto a cavarsela da sola. Lui la notte usciva per andare a lavorare e tornava il giorno dopo, quando lei era già in giro tra ospedale, consultorio e ambulatori: visite, esami e controlli senza capire una parola, ma senza potersi permettere di non capire. Allora Fadwa continuava a chiedere, chiedere, chiedere, fino allo sfinimento, anche solo per imparare a fare le lasagne buone almeno come quelle della mensa della scuola. Il primo figlio, il secondo, poi Aya. E tutto il mondo si è fermato. Perché Aya era diversa. Dai suoi primi due figli, da tutti i bimbi italiani che c’erano in quell’ospedale, da come era stata immaginata da chi la stringeva tra le braccia. Aya è nata con la sindrome di down, ma alla sua mamma non lo aveva detto nessuno. Fadwa allora ha incominciato a litigare con quell’uomo forte che la sua famiglia aveva scelto per lei e che pensava fosse tutta colpa sua: non aveva capito niente di quello che dicevano i dottori, non era stata abbastanza attenta, abbastanza brava, abbastanza mamma.

Intanto anche a Rita la pancia ha iniziato a crescere di nuovo e a riempirla di vita, come il suo negozio sempre pieno di gente che comprava. Ma anche a lei è continuato a succedere tutto il contrario di quello che avrebbe voluto: un giorno ha ospitato una ragazza che non sapeva dove andare a dormire. I giorni sono diventati prima settimane e dopo mesi, Rita era così tanto felice di quella sua nuova vita in Europa che sembrava essere benedetta dal cielo, come avrebbe potuto voltare le spalle a quella povera ragazza che veniva dal suo stesso Paese, carica della stessa paura con cui lei era arrivata in Italia. Pochi giorni dopo la nascita di Peter, il suo secondo bambino, Rita è stata arrestata, accusata di favoreggiamento alla prostituzione. I suoi primi mesi di vita Peter li ha passati in prigione piangendo. Rita era divisa in due: una parte di lei cercava di calmarlo e consolarlo, l’altra parte tremava disperata allo stesso tempo del suo bambino, che non faceva altro che piangere e urlare, urlare e piangere.

Il volto di Fadwa si riempiva di lacrime ogni volta che guardava Aya e si accorgeva di un papà pieno di vergogna per la sua stessa figlia: una bimba che non sarebbe dovuta andare all’asilo perché tanto non aveva niente da imparare. Le sue foto ai parenti in Marocco si potevano anche non mandare perché non c’era niente di bello da fare vedere. Come dire ai fratellini che Aya non sarebbe stata proprio come loro, sperando che non iniziassero a guardarla con gli stessi occhi di diffidenza e di disprezzo del padre? Dentro il cuore di Fadwa c’era tanto male da lasciarle solo la forza di piangere. Non davanti a lui perché non ci sarebbero state carezze per asciugare le sue lacrime, non davanti a lei perché il suo cuore di mamma le diceva che Aya non avrebbe dovuto mai conoscere il sapore di quella tristezza. Allora Fadwa la metteva dentro un passeggino con la coperta che lasciava appena vedere i suoi piccoli occhi: tanto era inverno, tanto si sarebbe addormentata presto, tanto non se ne sarebbe accorto nessuno, tanto lui era al lavoro e forse avrebbero potuto anche accorgersene tutti. Camminava per i parchi e le strade della sua città e appena Aya si addormentava, incominciava a piangere come una bambina, così piena di male che nessuno osava avvicinarsi a lei.

Ci sono voluti mesi prima che Rita potesse tornare ad essere una donna libera, anche se oramai aveva perso di nuovo tutto. Anni prima che il processo stabilisse che non era vero, lei non aveva fatto tutte quelle cose brutte che dicevano e non sarebbe più dovuta andare ogni giorno in questura a fare una firma. Rita ha ricominciato da quel poco che sapeva: perché potessero mangiare tutti, sarebbe bastato ogni settimana fare le treccine a 10 bambine diverse, 10 euro per ogni piccola acconciatura. Adesso ha trovato lavoro come badante e, ogni volta che mangia, si chiede se anche i suoi piccoli fratelli e le sue piccole sorelle in Nigeria stanno mangiando. Continua a fare i salti mortali per mandare loro dei soldi, spende da anni 50 euro al mese in schede telefoniche per sapere come stanno e sentirsi ancora una persona, accumulando intanto uno sfratto dietro l’altro. Quando parla del suo lavoro, dice che è un po’ come essere una schiava: la coppia di anziani di cui si prende cura, invecchiando, avrà bisogno di un aiuto sempre e per non perdere il lavoro lei dovrà fare la scelta più triste. Continuare a stare dentro la vita dei suoi bambini oppure sparire, accompagnarli a scuola al mattino e poi ciao, il bacio del buongiorno insieme a quello della buonanotte, offerta speciale due in uno dell’affetto che dovranno farsi bastare sino al giorno dopo.

Fadwa per trovare le parole giuste ha cercato su Google. Perché intanto ha imparato l’italiano, è diventata una mediatrice culturale che aiuta un’associazione che accoglie le donne arabe quando arrivano in Italia, come avrebbe tanto voluto che qualcuno avesse fatto con lei. Ha digitato semplicemente una parola, down. Ha scoperto che forse sarebbe bastato dire ai suoi fratellini che Aya era una bimba normale, avrebbe solo avuto bisogno di un po’ di aiuto in più. Fadwa ha amato talmente tanto Aya da farla amare anche a lui: l’ha mandata all’asilo anche se lui non voleva, ha cercato la logopedista, la psicomotricista e tutti gli altri aiuti di cui lei aveva diritto. Istruzione, cure mediche, democrazia, libertà: ha scoperto che in Europa non sono solo parole ma fatti di ogni giorno che le fanno amare il Paese che l'ha accolta. Dice che quando Aya fa una cosa, tutto il mondo è felice. Anche solo una nuova parola che lei riesce a dire, dà senso a tutte le lacrime che sono cadute dai suoi occhi, a tutte le volte in cui ha dovuto raccogliere il suo cuore a pezzi da terra. È la stessa felicità di Rita, quando la sera vanno a dormire nella casa di una stanza sola dove vivono in cinque e i bambini la circondano nel lettone, confinando il papà nel divano a fianco. Rita legge la favola della buonanotte con a fianco un vocabolario dove chiede loro di cercare le parole di cui non sa il significato, prima che arrivi papà a rimboccare l’unica coperta che copre tutti e a spegnere la luce, sgridandoli per scherzo di avergli rubato la moglie. Il loro Principe Azzurro ci ha messo un po’, ma alla fine è arrivato, intanto Rita e Fadwa si erano già portate avanti con il lavoro. Perché se la felicità ha un prezzo, loro lo hanno pagato tutto.  

 

FOTO: RIGAZIO/NP

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