La nostra frontiera

Pubblicato il 19-11-2017

di Lorenzo Nacheli

Uomini in filadi Lorenzo Nacheli e Simone Bernardi – Siamo fermi al semaforo, a San Paolo del Brasile, una delle più grandi metropoli del mondo, pronti ad attraversare la “Radial Leste”, l’arteria che taglia in due la città. Ci imbattiamo nella solita scena: uomini, donne e ragazzini che vendono ogni tipo di prodotto o supplicano l’elemosina da chi, almeno con lo sguardo, non può fuggire alle loro richieste. Ormai conosciamo le mosse, gli atteggiamenti: c’è chi si prepara il discorso strappalacrime o chi, invece, va dritto al punto: «Ho bisogno di qualche centesimo per comprarmi una cachaça (un’acquavite tratta dalla canna da zucchero)».

Oggi, tra loro, c’è un volto conosciuto, è quello di Rafael
che da qualche settimana ha lasciato l’ospitalità dell’Arsenale della Speranza preferendogli la droga. Non ha resistito! Ci fa segno di abbassare il finestrino e poi fa un gesto che lascia stupiti tutti gli automobilisti, noi compresi: porge la mano, ma è lui a dare dei soldi a noi. «Dovevo restituirveli!» e ci lascia 2 reais (circa 50 centesimi di euro). Giusto il tempo di ringraziarlo e scatta il verde. Sui nostri volti preoccupati si fa strada un sorriso. Non capita spesso un gesto così. Rafael è uno degli oltre 56mila uomini che sono stati ospiti dell’Arsenale della Speranza, la casa del Sermig che in questi 22 anni accoglie ogni giorno 1.200 persone, i cosiddetti “moradores de rua”, giovani e adulti in difficoltà per la mancanza di una casa, di una famiglia, di un lavoro, per problemi di alcool e droga… alla ricerca di un’opportunità e di una prospettiva di vita. È una casa che accoglie senza pregiudizio, ma con una convinzione: non si può continuare a sopravvivere, è tempo di provare a vivere!

A San Paolo abbiamo imparato il portoghese alla porta dell’accoglienza, ricevendo persone provenienti da tutto il Brasile: senza fissa dimora, dipendenti chimici, uomini appena usciti di prigione, immigranti e tanti giovani alla deriva... Abbiamo imparato a non giudicare e abbiamo capito sulla nostra pelle cosa vuol dire essere amati da Dio e allo stesso tempo ricevere l’ingratitudine di chi magari è stato aiutato con tanto impegno.

Il vicario episcopale della regione centrale di San Paolo ci ha affidato la responsabilità di una piccola comunità parrocchiale, quella di “Nossa Senhora de Casaluce”, nata dalla devozione a una Madonna di origine italiana, arrivata sin qui attraverso un gruppo di immigrati dell’aversano (Caserta) che si erano insediati in fondo a Rua Caetano Pinto, nello storico quartiere italiano del Brás. Nel 1900, la piccola comunità costruì una cappella che custodiva la replica di una Madonna nera che indica suo Figlio. Negli anni ‘70, grazie all’intraprendenza di un giovane sacerdote italiano, viene costituita la parrocchia di Casaluce ed inizia, con l’aiuto di tutti, la costruzione della chiesa attuale. Oggi, quei migranti italiani non ci sono più, al loro posto sono arrivati i boliviani, sono nate officine e negozi per la vendita di macchinari industriali e poi i “condominios fechados”, quartieri privati per le classi più agiate. L’antica devozione ha perso la forza di un tempo, in un territorio letteralmente “invaso” dalle chiese neopentecostali.

Ma lo sforzo maggiore, la “nostra frontiera”, rimane l’attenzione ai giovani. “Começo eu” (Comincio io) è il motto dei giovani che frequentano l’Arsenale della Speranza. «Noi vogliamo essere una foresta che cresce, e non alberi che cadono», dicono i nostri ospiti dell’Arsenale che, nonostante i vari problemi che ancora li affliggono, si ritrovano tutte le settimane in un luogo diverso della città per mettersi a disposizione di chi ha più bisogno di loro. A Bondade Desarma, la bontà è disarmante, si legge sul muro sbrecciato che accoglie tutti coloro che entrano negli arsenali: studenti universitari, alunni delle scuole primarie, giovani di gruppi parrocchiali che almeno una volta la settimana vengono a condividere un’esperienza di volontariato e a risvegliare l’entusiasmo assopito per il sogno di un mondo migliore. C’è ancora molto da fare, da lavorare, da pregare, da inventare, da rischiare ogni giorno.

Molti sono quelli che, nonostante la grande iniezione di speranza ricevuta, hanno risposto: «no» o, più semplicemente, sono fuggiti, come il nostro amico Rafael che, tuttavia, non si è dimenticato che doveva restituirci 2 reais. Piccolo segno di una relazione che esiste (e di una speranza) che non si vuole arrendere.

Lorenzo Nacheli e Simone Bernardi
ARSENALIVE
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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