Alla ricerca dell'arca perduta

Pubblicato il 04-04-2018

di Claudio Monge

di Claudio Monge - Le scienze bibliche definiscono i racconti degli inizi del mondo e dell’uomo, tramandati da Genesi 1-9, come racconti mitici, che non hanno nulla a che vedere con una cosmologia o una biologia primitive e pre-scientifiche, né vogliono essere una spiegazione razionale dei fenomeni terreni ed umani. Siamo, dunque, di fronte a elaborazioni di esperienze sicuramente storiche ma con un fine teologico.

Nel caso, ad esempio, della storia del diluvio (Gn 8-9) comprendiamo che il Dio creatore ha una relazione di amore e di fedeltà con la terra e le sue creature. Insomma, non esiste una “de-creazione” possibile dopo la creazione originaria: il Dio creatore promette che mai distruggerà con la violenza la sua creazione, nemmeno a causa della malvagità degli uomini, per quanto grande essa possa essere, e per quanto giustamente si possa accendere la sua ira. Queste indispensabili precauzioni esegetiche, evidentemente, non hanno mai fermato nei secoli gli speculatori e gli alimentatori di scoop, tra i quali dei romantici cercatori dell’arca di Noé che, dicono le Scritture, al ritirarsi delle acque del diluvio: «… si posò sui monti dell’Ararat…» (Gen 8,4).

Ora, dopo aver fatto notare che la citazione non parla di un’arca incagliatasi sul monte Ararat (al confine tra l’attuale Turchia e l’Armenia), come interpretano tutti, ma sui monti dell’Ararat, al plurale, e cioè una vasta regione corrispondente all’antico Urartu (menzionata anche in 2Re 19,37, Is 37, Ger 51), attuale Armenia (“furto” doppiamente intollerabile per i turchi), dobbiamo anche constatare che non si sono mai arrestate le spedizioni “scientifiche” a caccia di mitici reperti.

Nel 2010, le autorità turche si erano addirittura attivate per chiedere all’Unesco di accordare alle pendici del monte Ararat lo statuto di «patrimonio mondiale», per favorire gli scavi di un gruppo di ricercatori evangelici cinesi e turchi, che avevano annunciato (con tanto di reportage del canale televisivo di National Geographic News) di aver trovato resti in legno della struttura di una gigantesca nave, a 4000 metri di altitudine! Niente di straordinario se comparato alla recente esternazione del professor Yavuz Örnek, docente all’Università di İstanbul, che, parlando alla TV di Stato TRT1 lo scorso 6 gennaio, ha rivelato che Noé ha molto probabilmente allertato il figlio della necessità di un imbarco di tutta urgenza, grazie ad un telefono cellulare di prima generazione.

Di fronte alla reazione sconcertata dell’intervistatrice, l’esimio professore ha precisato di parlare non a partire da un prospettiva coranica ma “scientifica”, senza tuttavia poter del tutto escludere che la comunicazione tra il Patriarca e i suoi famigliari possa anche essersi realizzata miracolosamente. Per dare credibilità alla sua affermazione ha chiosato dicendo che le tecnologie al tempo di Noé erano proporzionalmente molto più avanzate di oggi, tanto è vero che la mitica arca sarebbe stata ad energia nucleare! Non sappiamo se lo scoop abbia incrementato gli spettatori del programma in questione ma potrebbe portar con sé una vera e propria rivoluzione nel concetto stesso di rivelazione islamica: un Dio che comunica da sempre con telefoni satellitari, potrebbe aver comprensibilmente deciso di far a meno dell’Incarnazione, non a caso esclusa dalla teologia islamica.

Claudio Monge
Levante

 

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