Speranza dal basso
Pubblicato il 16-06-2018
di Claudio Monge - In politichese lo si definisce un contributo all’indispensabile «giro di vite nei controlli all’immigrazione illegale dal Medio oriente» ma, in realtà, si tratta dell’ennesimo prezzo della vergognosa indifferenza delle politiche europee incapaci non solo di favorire processi di pacificazione a Sud del Mediterraneo al di là di interessi di bottega (per esempio, il fiorentissimo commercio di armi), ma anche di mettere in campo doverose politiche coordinate di accoglienza umanitaria, che dovrebbero essere la carta di identità di Paesi civili e democratici.
Stiamo parlando del nuovo assegno da 3 miliardi di euro firmato ad inizio marzo dalla UE a beneficio del Governo di Ankara per la “gestione” del flussi di disperati da arginare sul suolo turco, tutto questo a qualche settimana da un imminente rapporto che si esprimerà ancora negativamente sui “requisiti democratici” turchi in vista dell’annessione all’Unione.
Evidentemente, la coerenza non è una virtù della politica contemporanea e questo nell’indifferenza dell’opinione pubblica internazionale. Intanto Ankara sta in queste settimane alimentando il flusso di rifugiati siriani che si aggiungono agli oltre 3 milioni e 500.000 disperati già sul suo territorio, generando il nuovo esodo di circa 250.000 civili in fuga da Afrin, capitale del distretto siriano del Governatorato di Aleppo che l’esercito turco ha deciso di ripulire dai presunti terroristi curdi.
I morti, anche civili, non si contano (e mai ne avremo un rendiconto), dettaglio evidentemente irrilevante all’interno di un’operazione battezzata, con agghiacciante umorismo, Ramo di Ulivo. Ma accanto alle “prodezze” della politica internazionale, esistono anche piccole iniziative virtuose che tentano di far filtrare raggi di luce nell’inferno, come quella del progetto Janae. Si tratta di un programma, sostenuto da un gruppo di volontari turchi e di altri Paesi europei, che hanno deciso di mettere in comune le loro competenze per dare un supporto ai migranti siriani che desiderano imparare una gestione oculata dei loro poveri risparmi per micro-investimenti di sviluppo.
Mentre le ong classiche gestiscono in genere l’emergenza umanitaria nel suo scatenarsi, qui si tratta di immaginare un futuro che vada al di là dell’emergenza e di offrire strumenti di integrazione. L’idea è quella di sostenere e federare dei piccoli gruppi di risparmiatori (senza badare all’ammontare del risparmio, che talvolta può essere di qualche euro soltanto), inizialmente erano gruppi di donne soltanto, che favoriscano l’inclusione finanziaria di persone in forte disagio sociale. Ciascun partner del progetto si impegna a risparmiare una cifra mensile (che può riprendere quando vuole, se necessario) per costituire un fondo di micro-credito a zero interessi, dal quale attingere per piccoli investimenti (la cui bontà deve essere vagliata e approvata dall’insieme dei prestatori).
Si crea così una cultura partecipativa (i prestiti sono fatti sulla fiducia), si aiutano le persone ad uscire da una logica di mera sopravvivenza al quotidiano portandole ad immaginare un futuro, si incoraggiano piccoli investimenti virtuosi e non fini a se stessi. Si tratta di trasmettere delle capacità di gestione talvolta culturalmente sconosciute: un modo per contribuire a quella dignità umana troppo spesso calpestata.
Claudio Monge
Levante
Rubrica di NUOVO PROGETTO