Non avere paura

Pubblicato il 26-06-2018

di Renzo Agasso

di Renzo Agasso - La lotta di un uomo, di un magistrato: Antonino Caponnetto.

Palermo, 29 luglio 1983: la mafia uccide con un’autobomba sotto casa il consigliere istruttore Rocco Chinnici. Un grande magistrato, un grande nemico di Cosa Nostra. Il suo successore arriva a novembre.
Si chiama Antonino Caponnetto, ha 63 anni, l’età della pensione. Siciliano di nascita, toscano d’adozione, viene da Firenze. Nessuno gliel’ha chiesto né imposto di andarsi a infilare nel mattatoio a cielo aperto di Palermo, dove i padrini spadroneggiano. Dirà: «Quando ho appreso della morte di Chinnici, dopo alcuni giorni di sofferta meditazione ho avvertito l’impulso ad andare a prendere il suo posto: un impulso dettato in parte dallo spirito di servizio con cui ho sempre lavorato, e in parte – anche se di questo mi sono reso conto successivamente – dalla mia sicilianità».

Si fa mandare a Palermo, lasciando a casa moglie e figli, vivendo blindato in una caserma, a un’età in cui si pensa al riposo e si tirano i bilanci della vita. Laggiù trova Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e altri valorosi magistrati e uomini delle forze dell’ordine. Sono in guerra, molti cadranno. Non prima di avere inferto colpi decisivi all’organizzazione mafiosa. Antonino Caponnetto sente il dovere, alla sua età, di dare ancora un contributo nella lotta per la giustizia. Rinuncia al riposo e alla tranquillità, consegnandosi a una vita durissima e solitaria, che durerà cinque anni. Per spirito di servizio, per senso del dovere, per amore dello Stato.

È un autentico servitore dello Stato: e siccome lo Stato siamo tutti, tutti debbono fare la propria parte, per il bene comune. Moriranno, nel tragico 1992, sia Falcone che Borsellino. Dirà Caponnetto: «È tutto finito!». Poi, a settantadue anni e malandato in salute, riprenderà a servire il Paese andando di scuola in scuola, di piazza in piazza, di città in città a continuare la sua personale guerra alla mafia, a dare testimonianza, sollecitare impegno, suscitare speranza nelle giovani generazioni.

Disse un giorno: «Spesso mi domando: cosa possiamo fare contro la mafia? Contro i cancri che stanno corrodendo il Paese? La risposta è sempre la stessa: impegnarsi sul piano civile, sul piano sociale e sul piano politico. La mafia non è un problema locale siciliano, ma una piaga di tutto il Paese. Non bisogna aver paura, nessuno si deve tirare indietro. Lotta alla mafia è lotta per la democrazia e la libertà». Antonino Caponnetto ha lottato sempre. È morto nel 2002.

Renzo Agasso
PEOPLE
Rubrica di NUOVOPROGETTO

 

 

 

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