Sangue romagnolo

Pubblicato il 24-08-2018

di Annamaria Gobbato

di Annamaria Gobbato - «Io faccio quello che posso, dove non arrivo io arrivi Dio. Poiché io lavoro per lui, è impegnato ad aiutarmi». Chi parla è Odoardo Focherini – Carpi (MO) 1907 –, morto in un campo di concentramento tedesco nel dicembre del 1944, dove era stato mandato dopo l’arresto avvenuto in gennaio. L’accusa è la consegna di falsi documenti di identità ad un uomo di origine ebrea.

Questo significa carcere e condanna a morte. Ci vuole coraggio ad essere cristiani in quegli anni di dittatura e di estremismo ideologico, il nazifascismo non perdona, e per chi porta la stella di Davide l’unica salvezza è la fuga.
O l’aiuto di chi ha detto no al regime. Odoardo – Odo per gli amici – è uno di questi: assicuratore, sposato e padre di sette fi gli, presidente diocesano dell’Azione Cattolica, collaboratore dell’Avvenire d’Italia e dell’Osservatore Romano, su richiesta di Raimondo Manzini, direttore dell’Avvenire d’Italia, favorisce il rimpatrio di un gruppo di ebrei polacchi fornendo loro documenti falsi.

In seguito, con l’aiuto di una rete di amici – tra cui l’arcivescovo di Genova e don Dante Sala, romagnolo come lui – e di sua moglie Maria, in questo modo ne salverà più di cento. A lei e ai fi gli resteranno le tante lettere dal campo nazista arrivate in modo clandestino.
Odoardo non rimpiange il suo gesto: «Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, cosa fanno patire agli ebrei, non rimpiangeresti se non di non averne salvati in numero maggiore». Nel 2012 la Chiesa lo ha dichiarato beato, e l’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme gli ha conferito il titolo di “Giusto tra le nazioni” (nel 1969).

Annamaria Gobbato
#TERRA&CIELO
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

 

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