Connessi e scontenti

Pubblicato il 04-01-2019

di Gabriella Delpero

di Gabriella Delpero - Adolescenti: lo schermo vince sulle relazioni in carne ed ossa.
Dare un nome alle cose aiuta a capirle, a fare chiarezza. La paura di essere “tagliati fuori” dalla comunicazione elettronica permanente, quella che colpisce e manda in panico molti adolescenti, ha adesso un nome: fomo (fear of missing out). Consiste nel divenire preda di un continuo stato di ansia che deriva dal timore di rimanere esclusi da avvenimenti ed esperienze che stanno vivendo i propri amici, se solo ci si distrae un attimo e non si guardano “subito” le immagini o non si leggono “all’istante” i messaggi ricevuti. La “presenza online” non ammette pause o interruzioni, non concede tregua. Spesso neppure di notte.

Sono sempre più numerosi i genitori che ammettono di non riuscire più a far spegnere i cellulari ai figli nelle ore notturne. Alcune statistiche mettono in correlazione la deprivazione di sonno (meno di sette ore per notte) con l'utilizzo dei nuovi media. E di giorno può essere problematica anche la cadenza della comunicazione elettronica: se per esempio si verifica un ritardo della risposta ad un loro messaggio, ecco che nei ragazzi sale alle stelle la paura che il destinatario sia arrabbiato o che non gli sia affatto piaciuto ciò che gli hanno scritto o che si stia dedicando a qualcosa (o a qualcuno) di più importante e piacevole…

Insomma, sembra proprio che la comunicazione elettronica possa diventare terreno fertile per le emozioni negative (insicurezza, paura, senso di emarginazione, tristezza immotivata, apatia, solitudine….) ed indurre stati d’ansia e tensioni non facilmente controllabili. Ne è prova il fatto che molti adolescenti ammettono apertamente di provare dentro di sé sentimenti penosi e una profonda vulnerabilità, mascherata però dietro un’ostentata “sicurezza online”. Si sentono spesso esclusi e di fatto anche il loro senso di solitudine è aumentato.

Una ragazza sedicenne mi raccontava di come lo «stare sempre lì a sentire le cose meravigliose che fanno gli altri» le facesse provare un acuto senso di invidia, portandola alla conclusione che tutti i suoi amici hanno certamente una vita migliore della sua. Un’altra confessava invece di non poter stare neppure un minuto senza il cellulare perché separandosene sarebbe stata immediatamente assalita da un’insopportabile sensazione di isolamento. Una terza ammetteva di essere stata pesantemente criticata sui social per il suo aspetto fisico e di essere piombata in una crisi sempre più profonda, che ha “risolto” con l’autolesionismo.

Sembra che siano le ragazze ad essere maggiormente vittime di cyberbullismo: le aggressioni verbali da parte delle coetanee sono all’ordine del giorno, probabilmente perché i social media sono un veicolo perfetto, a disposizione dei bulli ventiquattr’ore su ventiquattro. E i genitori? Quanti sono consapevoli che i figli arrivano all’adolescenza in un’epoca in cui la loro principale forma di socializzazione è fissare un piccolo schermo rettangolare da cui possono sentirsi a volte apprezzati, ma troppo spesso rifiutati?

E che la sempre più scarsa frequenza di rapporti umani diretti, personali, sta rallentando in loro il raggiungimento delle necessarie competenze sociali? Un diciassettenne ha scritto nel suo diario: «Penso che sia meglio evitare i confronti diretti con le persone: non si sa mai che cosa potrebbe succedere… Non mi piacciono le situazioni che sfuggono al controllo, preferisco sentirmi protetto…». È tempo di re-imparare a guardare le persone negli occhi, prima che sia troppo tardi.

Gabriella Delpero
PSICHE
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

 

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