Evangelizzazione: la parola ai poveri

Pubblicato il 14-08-2012

di Michele

di Michele Sardella - Papa Benedetto XVI a conclusione del suo messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale augura che “la Giornata Missionaria ravvivi in ciascuno il desiderio e la gioia di “andare” incontro all’umanità portando a tutti Cristo .

Anche i Padri conciliari si erano espressi chiaramente circa lo stile di vita generato dalla Pasqua del Signore: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, Tornai ad essere discepolo, per impararne la lingua, studiarne la cultura e soprattutto camminare sul suo stesso sentiero, piccolo, strettosono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” e per questo “la Chiesa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia” (Gaudium et Spes, n.1).

Da cristiano prima e da sacerdote missionario dopo, ho vissuto intensamente il desiderio e la gioia di andare incontro all’altro. Andare incontro all’umanità sofferente era per me naturale e mi entusiasmavo al pensiero di poter essere voce di chi non ha voce. Col passare degli anni, però, ho vissuto uno strano movimento interiore da discepolo a maestro e poi ancora da maestro a discepolo. Nei lunghi anni di formazione, era naturale sentirsi discepoli e ascoltatori della Parola; poi, con l’ordinazione sacerdotale, era altrettanto logico sentirsi maestri e annunziatori della sua Parola. Da giovane sacerdote sperimentavo un grande coraggio interiore e la voglia di ricerca di persone e situazioni in cui potevo essere “voce che grida”. Poi… venne l’Africa e lì Dio mi attendeva per sorprendermi in un popolo umile e povero, il popolo Lomwe del Malawi, ai confini con il Mozambico, che portava nelle vene l’esperienza della schiavitù e oppressione. Una sorpresa che mi fu data in dono attraverso quei poveri, con cui ho condiviso tutti i miei giorni, cercando di vivere il più possibile della loro stessa vita. Sono quelle persone che noi chiamiamo poveri cristi. La sorpresa di Dio fu che presi coscienza che quella gente una voce ce l’aveva e che anch’essa mi annunziava la presenza di Dio.

Prima di incontrarlo davvero, in carne e ossa, povero cristo per me significava un poveraccio, una persona da poco, a cui ero venuto a donare aiuto, come da ricco a povero. Poi, vivendo la missione, ho scoperto che povero cristo è anche l'uomo delle beatitudini: il povero, l'umiliato, l'afflitto, il perseguitato, il non-oggetto di perdono, un io pensato e creato a immagine e somiglianza di Dio. E così, Donna malawiana con il suo bambinotornai ad essere discepolo, per impararne la lingua, studiarne la cultura e soprattutto camminare sul suo stesso sentiero, piccolo, stretto, tracciato nella savana dai suoi piedi carichi di quotidianità. Di nuovo discepolo, per ricevere dal povero cristo le sorprese di Dio.
Il povero ha poco o nulla, eppure sa cogliere la vita con una ricchezza interiore a volte insperata; il povero sa rischiare sulla quotidianità che spesso opprime; è colui che viene sopportato ma non ascoltato; colui il quale coglie ipocrisia e retorica con un mutismo denso di significato educativo. Nei poveri, nelle loro sacche di povertà, così ricche di talenti, vidi emergere per me un'umanità nuova, presente con una forza capace di guarire il nostro umanesimo malato. La gente povera mi educava alla responsabilità intrinseca al vivere accanto, al servire, al prendersi a cuore la vita di chi soffre, ha fame e sete, non si vede riconosciuti pari opportunità e integrale rispetto della propria umanità. Sentivo Dio più vicino. La povertà, anche nel nostro tempo, è un'opera d'arte che conserva ricchezza profetica ed evangelica, capace di dare vita al bello, di rompere il silenzio, di accompagnare il cammino creativo delle nostre comunità.

Vorrei che il mio racconto e la mia memoria missionaria possano condurre i fratelli e le sorelle dell'Europa e dell'Occidente a vedere e sentire l'ordine presente del mondo nella maniera in cui esso è visto e sperimentato da coloro che ne soffrono le conseguenze. Il Padre dei poveri invita la Chiesa ad assumere gli occhi dei poveri, per smascherare i meccanismi occulti di esclusione e denunciare i processi oppressivi su cui si fondano il nostro vivere sociale e le relazioni internazionali; in una parola, a svelare il peccato strutturale del mondo secondo cui la ricchezza e la vita di pochi si basa sulla povertà e la morte dei molti.

In termini positivi, la missione della Chiesa aiuti a liberare il desiderio umano stesso dall'asservimento al mercato e dall'asfissia del consumo e della gratificazione facile, assumendo stili di vita evangelici e segnati dalle beatitudini di Gesù di Nazareth.
Il confronto con le storie di sofferenze libera la Chiesa stessa e domanda che il suo annuncio della Buona Notizia integri il grido dei poveri verso Dio perché renda loro giustizia. La proclamazione di Dio come Abbà deve mantenere la tensione con l'esperienza dell'abbandono sofferto dalle vittime.
La Parola di questo Padre invita noi tutti a rinnovare il nostro impegno ad essere per gli altri, a seminare umanità vera, a disarmare i cuori, ad Uomo carcerato si affaccia alla finestra della sua cellaessere prossimo per i più poveri, per quelli che non hanno la sicurezza di un pasto giornaliero, che non trovano casa o lavoro, di chi è perennemente solo, di chi è in carcere, di chi non ha nessuno e niente in ospedale o per strada, di chi non ha speranza di un domani… Tutti però capaci di dirci e darci qualcosa da parte di Dio-Abbà. Questo itinerario non si nutre di idealità, ma avviene attraverso gesti e atteggiamenti vissuti quotidianamente e che costituiscono una grammatica umana dell’amore che passa per l’offerta del proprio tempo e della propria presenza all’altro, l’ascolto e la comunicazione, fino a porre se stessi totalmente al servizio della vita dell’altro.

p. Michele Sardella – comboniano

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