Dio, perché? (1/4)

Pubblicato il 11-08-2012

di don Dario Berruto

di don Dario Berruto - Giobbe, gli interrogativi della sofferenza.

Alunni della scuola media statale Ugo Foscolo, I bambini non possono andare a scuolaMediteremo, a partire dal libro di Giobbe, che cercheremo di illuminare con la passione e morte di Gesù, sulla sofferenza umana, sul dolore del mondo, su tutto il male che ci circonda. In ogni momento c’è qualche essere angosciato che fa sulla propria pelle l’esperienza della sofferenza, e rivolge al Signore una terribile domanda : “Perché a me? Perché proprio a me?”. Non parliamo qui della sofferenza, dei dolori, effimeri, o delle realtà che trovano una loro logica naturale, come ad esempio la morte di una persona anziana, che ha compiuto serenamente il suo ciclo di vita. Ci riferiamo principalmente alla sofferenza innocente, a chi soffre senza colpe soprusi di ogni genere, sofferenze morali indicibili.

La sofferenza innocente, comunque la si configuri (bambini che muoiono di fame, atrocità dei lager, torture inflitte) solleva in chi la subisce e in chi la vede, una domanda: “perché?”. Chi è toccato dal dolore si rivolge al Signore per chiedergli: “Perché, Signore, perché questo dolore e perché proprio a me?”. E chi si fa compartecipe delle sue sofferenze rivolge la stessa domanda: “Perché?”. Se siamo personalmente toccati dalla sofferenza, nostra o di persone a noi care, se abbiamo occhi per vedere il dolore innocente, siamo capaci di riflettere, di meditare. A volte un credente, un cristiano, cerca di eludere le domande che si pongono naturalmente a questo riguardo, forse perché ne è spaventato. Questo atteggiamento non è giusto: a queste domande dobbiamo cercare di rispondere, non possiamo eluderle tranquillamente.


DUE INTERROGATIVI

Vincent Van Gogh, Corsia dell'ospedale di ARLESDi fronte a certe malattie, a certe sofferenze terribili e durature, si pongono due grandi interrogativi. Il primo è: che senso ha ancora la vita. Questo problema è oggi particolarmente sentito, ed in molti Paesi viene richiesta la legalizzazione dell’eutanasia. Di fronte a certe malattie inguaribili, a certi dolori, si deve ancora accettare la vita con riconoscenza, cercare di porla a frutto o non è meglio porvi fine, perché la si considera solo più una maledizione? Albert Camus, grande scrittore e filosofo francese morto prematuramente circa trenta anni fa, apre la sua opera filosofica “il mito di Sisifo” con questa considerazione: il solo problema veramente importante per la filosofia è il suicidio; decidere cioè se valga la pena vivere o no in un mondo irrazionale, dominato dal male e dal dolore. Camus era un non credente che non riusciva a vedere la presenza di Dio in un universo che considerava assurdo, senza speranza.

Il secondo grande interrogativo
che il dramma della sofferenza innocente suscita, è se di fronte a certi dolori si possa ancora accettare l’esistenza di un Dio buono. Per molti infatti questo dramma sembra rappresentare un ostacolo fondamentale per la fede. In effetti, se si cerca di risolvere questi problemi puramente sulla base della logica umana, non si riesce ad arrivare ad una soluzione. La questione è stata posta in termini lucidissimi così: o Dio può impedire il male ma non lo fa, e allora non lo si può dire buono, oppure Egli non lo può impedire, e allora non è onnipotente. Posto in questi termini il problema è terribile, perché in entrambi i casi manca un attributo essenziale a Dio (bontà e onnipotenza) e ciò distrugge la nostra immagine di Dio inducendoci a negarne l’esistenza.

Hemingway ha detto che gli occhi che hanno visto Auschwitz, o gli altri campi di concentramento, o Hiroshima, non potranno più contemplare Dio. Le atrocità della guerra hanno ispirato molte parole di protesta, di rivolta contro Dio. Ad esempio, in un’opera teatrale intitolata “Fuori davanti alla porta” di Wolfang Borchert vi è tutto un dialogo tra un uomo e Dio su questi orrori, e l’uomo apostrofa Dio chiedendogli quando mai sia stato buono, con una serie di domande circostanziate. Gli chiede se è stato buono a permettere che una bomba scoppiasse e facesse a pezzi il suo bambino di appena un anno. A questa domanda il vecchio che impersona Dio risponde: “Io non l’ho fatto uccidere”. Ma il protagonista replica: “No, è vero, tu lo hai solo permesso! Ma non hai ascoltato quando egli gridava e le bombe scoppiavano. Dimmi, buon Dio, dov’eri quando scoppiavano le bombe? Forse sei stato buono quando dalla mia pattuglia mancavano undici uomini, undici uomini mancavano buon Dio e tu non eri presente, non c’eri buon Dio; certo quegli undici uomini hanno gridato e urlato nel bosco solitario ma tu non c’eri, non eri presente buon Dio. Sei stato buono a Stalingrado buon Dio, sei stato buono lì a Stalingrado, ma quando mai sei stato buono, quando mai tu ti sei preoccupato di noi o Dio?”.


DIFFERENTI RISPOSTE

Ilia Rubini - I volti del doloreAnalizzando le reazioni di tanti uomini e donne di fronte ai drammi delle loro vite, scopriamo una cosa interessante: la protesta contro Dio, la rivolta, è propria della cultura ebraico - cristiana. Di fronte alla universalità della sofferenza, vi sono infatti risposte differenti a seconda delle diverse culture, delle diverse religioni. Mentre il dolore è in sé oggettivo, universale, il senso, il significato che si dà alla sofferenza è soggettivo. Nella cultura greca, ad esempio, sarebbe stato folle pensare ad una vita senza dolore. La sofferenza in sé e per sé era un fatto scontato, un dato acquisito: il problema è come reggerla, acquisire forza per dominarla. L’uomo “riuscito” regge al dolore e diventa un eroe. La sofferenza è anche madre della conoscenza: tutto ciò che si partorisce nello spirito è partorito nel dolore. Vediamo le grandi religioni del mondo orientale, induismo e buddismo. Per l’induismo l’esistenza del male non suscita scandalo, e non ha alcun senso parlare del dolore e della sofferenza: tutto quanto esiste quaggiù, uomini e cose, sono solo apparenza, in quanto è reale solo l’Uno in cui tutti confluiranno. Un santone indù potrebbe guardare con molto rispetto chi, come Madre Teresa, va a raccogliere i moribondi sui marciapiedi, senza tuttavia arrivare a capirlo. Il buddismo invece dice che la radice del dolore è il desiderio, e quindi si soffre perché si hanno desideri. La soluzione del problema è perciò riuscire a spegnere il desiderio, ed a questo fine il buddismo insegna anche le tecniche spirituali per riuscirvi, eliminando anche la sofferenza. Il mondo moderno considera il dolore come un nemico da vincere con l’aiuto della scienza e della tecnica, o come un fatto da nascondere, se non può essere vinto. Si nasconde il dolore nell’attesa che la scienza e la tecnica riescano a sconfiggerlo, si nasconde la morte.


He Qi, CrocifissioneDIO E IL MALE

Ma perché allora il problema del male si pone nella cultura ebraico - cristiana? Perché la rivelazione biblica presenta Dio come uno che si prende cura dell’uomo, che lo ama con viscere materne, in modo appassionato. Questa immagine di Dio, che ci è padre e madre e ci ama appassionatamente, rende intollerabile la visione della sofferenza innocente. Eppure questo male che sembra contraddire Dio, in realtà lo implica e lo chiama in causa: nell’orizzonte ebraico - cristiano basta un bimbo che soffre per chiamare in causa Dio. Sergio Quinzio, sulla base di queste considerazioni, sostiene questa tesi: la disperazione del mondo di fronte al dolore, disperazione che si origina dall’immagine di un Dio che ama con viscere materne, è pensabile soltanto all’interno della fede, non importa se questa fede venga ammessa o negata. Noi quindi ci troviamo dentro questo orizzonte, dove vi è un Dio che ama l’uomo appassionatamente, e tuttavia sembra abbandonarlo alla sofferenza, al male, al dolore, anche quello innocente. Abbiamo detto che se si cerca di risolvere questo problema con una logica puramente umana, non si riesce ad arrivare ad una soluzione: la nostra logica non è infatti quella di Dio, ed è Dio stesso che ce lo rivela nella parola ispirata: “Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore” (Is 55,8). Ed a Pietro che rifiuta la croce, Gesù dice: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,33). Paolo conclude che la croce è stoltezza per gli uomini, ma “ ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini”. Non approfondiamo ora questo aspetto, perché la luce gettata dalla croce di Cristo sulla sofferenza, sul dolore, sarà da noi esaminata nella quarta e ultima parte di queste riflessioni.


GIOBBE: UNA MEDITAZIONE

James Tissot, La deportazione dei prigionieriFatta questa necessaria premessa, per capire la reazione del credente di fronte a certe situazioni di dolore, veniamo al libro di Giobbe, che si pone proprio l’interrogativo iniziale: perché? Il libro di Giobbe appartiene a quella categoria di libri della Bibbia che vengono chiamati “sapienziali” in contrapposizione ai libri “storici”. In altri termini questo libro è un libro di spiritualità, che non vuole narrare una vicenda storica, anche se alla sua base vi è facilmente un’esperienza reale. È un libro frutto delle meditazioni, degli interrogativi, dei problemi originati dall’esilio di Babilonia: si pensa infatti che sia stato scritto nel V- IV sec. a.c., cioè nel post-esilio. Per capire cosa abbia potuto significare l’esilio per Israele, dobbiamo vederlo come una condanna a morte, la fine di tutto, e renderci conto che sollevava, tra le altre, due domande fondamentali. La prima è: se la deportazione è avvenuta, secondo la parola dei profeti, a motivo delle malefatte di Israele, come mai degli innocenti sono stati deportati ed hanno patito senza aver peccato? La seconda domanda riguarda il futuro di Israele: la condanna sarà definitiva? Il libro di Giobbe nasce in questo clima, è un tentativo dell’uomo turbato dal male, di capire la sua posizione di fronte a Dio, ed è scritto nella forma di una fiaba orientale, piena di ingenuità e molto bella. Delle cinque parti in cui esso si divide, noi esamineremo solo alcuni brani del prologo, del dialogo tra Giobbe e i suoi amici e di quello tra Giobbe e Dio; vedremo poi come si completi alla luce di Cristo.


AMIAMO GRATUITAMENTE?

William Blake, Satana si allontana da Dio e carità di GiobbeI primi cinque versetti del prologo ci presentano Giobbe come il più grande tra tutti i figli di Israele: uomo integro e retto, che temeva Dio ed era alieno dal male, e che godeva di un benessere favoloso. Ci vengono quindi, dal versetto sei, presentati altri due personaggi: Dio, che è fiero del comportamento di Giobbe e lo loda, e Satana, che mette in dubbio il movente di tale comportamento. Nel dialogo tra Dio e Satana infatti il primo chiede: “Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male”.

Dio in Giobbe possiede un tesoro particolare, un uomo che è il suo orgoglio e la sua gioia, e sente il bisogno di lodare la sua creatura, colui che Egli ama. Riprendiamo la narrazione biblica. Satana risponde al Signore e dice: “Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!”. Satana non contesta il comportamento di Giobbe, le sue azioni, che sono dei dati oggettivi e quindi incontrovertibili, ma chiede cosa vi sia alla base di quel comportamento: forse che Giobbe teme Dio per nulla? In altre parole: Giobbe ti serve perché ti ama o perché possiede ciò che possiede? Il suo comportamento non potrebbe scaturire solo dalla gratitudine per il benessere raggiunto, magari mescolata con la paura di perdere ciò che ha se dovesse meritarsi una punizione, o dal desiderio di vedersi ancora premiato per la sua rettitudine riuscendo così ad accrescere ulteriormente le sue ricchezze?

Satana insinua nello stesso tempo dei dubbi sulle reali motivazioni del comportamento di Giobbe e sulla possibilità che sulla terra esista per Dio un amore gratuito, un amore diretto alla persona stessa di Dio senza altre motivazioni e finalità egoistiche, siano esse palesi oppure occulte. Generalizzando, Satana sta chiedendo a Dio se alla base della fede degli uomini non ci sia lo scopo di ottenere qualcosa o la paura di perdere qualcosa. È una domanda terribile, quella di Satana, che ci investe direttamente e personalmente: se Dio oggi mi togliesse tutto quello che ho, salute, soldi, prestigio,affetti, cosa farei? Continuerei imperterrito ad amare Dio?


DOVREMO ACCETTARE IL MALE?

"È facile credere ed essere buoni quando tutto va bene" - Immagine: Bartolo di Fredi, Uccisione dei servi di GiobbeEd è la prova alla quale Satana chiede venga sottoposto Giobbe: infatti egli suggerisce a Dio di provare a togliere tutto a Giobbe, per capire quanto salde siano le basi della sua fede. Satana è spregiudicato, provocatore al massimo, ma va al nocciolo del problema: è facile credere ed essere buoni quando tutto va bene. Il tema più importante e interessante del libro di Giobbe non è tanto il perché del dolore, ma queste domande: l’uomo nei suoi rapporti con Dio è capace di avere un amore gratuito, semplice, disinteressato, puro, o non vi sono forse nel suo amore, magari nascosti anche a se stesso, altri interessi di natura egoistica? Quante volte andiamo in crisi di fede solo perché qualcosa ci è andato storto, e diciamo: cosa ho fatto di male per meritarmi questo?

Ritornando al libro di Giobbe, Dio accetta la sfida di Satana e gli dice: “Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui”. Dio consegna Giobbe a Satana perché lo provi, ed a questo punto le cose precipitano. Quattro messaggeri si susseguono (Gb 1,13-20) senza interruzione, ognuno per portare notizie ferali: i buoi stavano arando e le asine pascolando, quando i predatori li hanno razziati, passando i guardiani a fil di spada; le pecore e i loro guardiani sono stati divorati da un fuoco dal cielo; anche i cammelli sono stati predati e i loro guardiani uccisi; i figli e le figlie di Giobbe sono tutti morti, investiti dal crollo della casa che è rovinata loro addosso per un vento impetuoso. Improvvisamente Giobbe è diventato poverissimo, e toccato negli affetti più cari, ma la sua reazione è “ Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore”. Giobbe rimane saldo nella sua fede.

Ma Satana non è ancora soddisfatto, e ritorna da Dio. Si ripropone il dialogo tra Dio e Satana, con il primo che ripete le lodi di Giobbe aggiungendo: “egli è ancor saldo nella sua integrità; tu mi hai spinto contro di lui senza ragione, per rovinarlo”, e il secondo che spinge fino in fondo la sua provocazione. Infatti, Satana risponde al Signore: “Pelle per pelle; tutto quanto ha, l’uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e toccalo sull’osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia!”. In altre parole Satana dice: dopo avergli tolto tutto ciò che ha, toccalo adesso nella sua salute, e il Signore risponde” Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la tua vita”.
Il testo prosegue: Satana si allontanò dal Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta de piedi alla cima del capo. “Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere. Allora sua moglie disse: “Rimani ancor fermo nella tua integrità? Benedici Dio e muori!”. Ma egli le rispose: “ Come parlerebbe una stolta tu hai parlato! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?”. In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra” (Giobbe 2, 8-10).

Giobbe è stato colpito a fondo su tutti i lati possibili: ha peso i suoi beni, i figli, la salute, l’affetto della moglie che sembra persino invitarlo al suicidio (Benedici Dio e muori!), eppure non pecca contro Dio con le sue labbra. Ma il problema è posto, l’interrogativo fondamentale è stato formulato “Forse che Giobbe teme Dio per nulla?” e questo interrogativo non si scioglie ancora qui. Siamo solo alla fine del prologo. Dovremo proseguire per vedere gli sviluppi della storia.

 

Vedi anche:
Dio, perché?   [1]  [2]  [3]  [4]

da NP 1993, a cura della redazione
da incontri all’Arsenale della Pace
testi non rivisti dall’autore

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