Vada per mare chi non sa pregare

Pubblicato il 20-04-2016

di Flaminia Morandi

Oscar Cahén, Praying Mandi Flaminia Morandi – Prega per me! Ti ricordo nella preghiera! Belle affermazioni, ma rischiose, perché ogni preghiera è un’avventura. Ci mettiamo a pregare, abbiamo una grazia da chiedere e pensiamo di sapere cosa stiamo facendo. Crediamo che tutto ciò che abbiamo da fare è mantenerci attenti, non perdere di vista il nostro obiettivo. A volte, se le parole che ripetiamo ci sembrano troppo asciutte, allora cerchiamo di risvegliare i nostri sentimenti: amore, gratitudine, fiducia, angoscia o gioia. Ci capita persino di compiacerci dei sentimenti che proviamo, di pensare, con una parte recondita della nostra mente, che sono sentimenti religiosi. Ma anche i nostri sentimenti non bastano a dare sapore al colloquio interiore; allora cerchiamo di coinvolgere la nostra intelligenza a riflettere sulle parole che pronunciamo e sulla loro verità, e ad appassionarci ad essa, a misurare la nostra fede, a immaginare le decisioni concrete che prenderemo, forti di quella fede.

Non ci accorgiamo che “conservare le nostre affezioni e pretendere consolazioni spirituali sono due cose incompatibili” con la preghiera, diceva santa Teresa d’Avila, e aggiungeva: finché non ci decidiamo di darci in blocco a Dio, quel tesoro non viene dato in blocco a noi.
Perché un terreno arido e pieno di erbacce si trasformi in un giardino c’è bisogno dell’acqua, e l’acqua arriva in quattro modi: attingendola dal pozzo con gran fatica, immettendola nell’acquedotto girando una manovella, prendendo l’acqua da un fiume oppure aspettando una pioggia abbondante: cosa, questa, che fa solo il Signore, e senza nessuna fatica da parte nostra. È il mezzo migliore, dice Teresa; purché, aggiunge, tu non smetta nel frattempo di faticare attingendo acqua.

Succede allora che la cosa importante non sia più il punto d’arrivo della preghiera, la grazia che chiediamo; ma semplicemente il fatto di pregare. Dice André Louf che a questo punto la preghiera può diventare come un vicolo cieco: sono con le spalle al muro, nessun trucchetto funziona più, né quello dei sentimenti né quello della meditazione, che anzi mi hanno fatto dolorosamente consapevole di quanto sono incapace di pregare. A questo punto ci sono solo io, all’ascolto attento di qualcosa che può venire o non venire dalla mia profondità interiore. Non ho altro da fare che restare lì senza fuggire, abbandonarmi, sedermi in pace nella mia impotenza. Aspettare di essere afferrato dalla forza di Dio, e non so se avverrà.

Sono come un povero che chiede ciò di cui ha bisogno ma non si meraviglia se viene respinto, nessuno gli deve nulla, dice santa Teresina del Bambino Gesù. “Vada per mare chi non sa pregare!”, dicevano una volta i marinai. Vivere fino in fondo con umile amore la propria povertà, il proprio bisogno di tutto, il non dare nulla per scontato, questa è preghiera: esperienza della salvezza.


MINIMA – Rubrica di Nuovo Progetto

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