La grande bellezza

Pubblicato il 18-09-2016

di Cesare Falletti

James Tissot, La presa di Gericodi Cesare Falletti – Nel mondo, e ci sembra poter dire da sempre, si sentono brontolare rumori di guerra. Ogni giorno c’è un nuovo focolaio e le notizie che ci arrivano ci tengono col fiato sospeso.
Un versetto della Bibbia dice una cosa sconcertante: “All’inizio dell’anno successivo, al tempo in cui i re sono soliti andare in guerra” (2Sam 11,1). Ci sembra quasi che l’attività della guerra sia una cosa scontata, doverosa, diciamo: “una cosa che si fa, come si semina e si raccoglie o come a una certa stagione si ricomincia ad andare a scuola”. Eppure in tutta la Sacra Scrittura il tempo di pace è considerato il dono per eccellenza che Dio fa al suo popolo, quel dono che permette la vita e la prosperità.

Oggi più nessuno esalta la guerra ufficialmente, non siamo più ai grandi proclami che infiammavano i cuori degli uomini e davano loro l’entusiasmo per il combattimento unendolo al fuoco di grandi valori da difendere. Difendere però è sempre una parola che pone l’individuo (persona o popolo) al centro, come cosa unica e di fronte al quale tutto il resto si deve piegare. Naturalmente in questo caso ogni forma di guerra, fra due persone, fra due popoli o mondiale diventa una cosa giusta e doverosa. La difesa crea sospetto e inimicizia, fa nascere il nemico.
Possiamo fare molte proteste, manifestazioni e proclami contro la guerra, ma se non ne estirpiamo la causa continuiamo a fare un buco nell’acqua.

Ultimamente papa Francesco ci ha messi tutti in preghiera per scongiurare una guerra che sembrava dovesse scoppiare. La guerra non è scoppiata, grazie a Dio, ma il massacro del popolo, dei piccoli, degli indifesi continua, perché gli individui lottano per il loro potere. Cosa abbiamo ottenuto digiunando e pregando tutti insieme a livello mondiale? Una cosa è sicura: abbiamo pregato con sincerità, perché la guerra non la volevamo. Fu una vittoria o solo una battaglia vinta in favore della pace? Se quella preghiera ha smosso un po’ la chiusura nel nostro individualismo e ci ha fatto prendere coscienza che volevamo la pace per tutti e non il nostro interesse individuale o di gruppo ristretto, abbiamo combattuto la buona battaglia contro la guerra.
Un piccolo passo avanti, quasi invisibile, ma che con la grazia di Dio corrode la dura roccia dell’egoismo e della violenza umana. Ma la lotta contro l’individualismo non è ancora vinta e la sorgente della guerra non è estinta, anzi continua a sgorgare con impeto e abbondanza cancellando le fragili vittorie di ieri.

La convivenza umana, in tutti i suoi gradi, dalle singole famiglie all’ONU, è un’arte che richiede passione, sacrificio e capacità di iniziativa positiva; saper inventare la pace! Occorre saper uscire di casa per incontrare e vedere che gli altri esistono con le loro differenze, le loro gioie e i loro problemi e lasciarsi penetrare dalla presa di coscienza che il bene non è mai qualcosa che sembra un cerchio chiuso.

La croce che ci apre alla risurrezione e alla vita, ha le braccia aperte, larghe. Non è una posizione confortevole, di comodo. Sappiamo che il condannato doveva fare un continuo sforzo per sostenere quella posizione che gli toglieva il respiro. Uscire dall’individualismo è vivere questo sforzo, che sembra toglierci il respiro, l’aria, ma che è sorgente di vita. Se continuamente ricominciamo questo atto di dono della vita e usciamo dal nostro cerchio chiuso, non solo staranno meglio gli altri, ma noi vivremo una vita nuova, una risurrezione che ci farà trovare una libertà insospettata.
Se tutti i popoli volessero non occuparsi delle proprie frontiere e dei propri mercati, ma aprissero le braccia all’accoglienza, al dono, alla condivisione, l’umanità scoprirebbe che è creata per essere felice.


IL RUMORE DEL SILENZIO – Rubrica di Nuovo Progetto

 

 

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