2000 anni e non li dimostra

Pubblicato il 31-08-2009

di Aldo Maria Valli


Si apre, il 28 giugno 2008, l’anno dedicato al bimillenario della nascita di San Paolo, l’apostolo che per primo portò il messaggio di Gesù alle genti del mondo.

di Aldo Maria Valli

Quando si guarda sulla cartina del Mediterraneo l’itinerario seguito da Paolo di Tarso nei suoi tre viaggi missionari (circa 17 mila km a piedi o in una barca sospinta dal vento) si resta sempre stupiti. Come ha potuto un uomo solo, duemila anni fa, viaggiare tanto? E se poi si pensa alle lettere che ha scritto, e alle avventure a cui è andato incontro, lo stupore aumenta. Dove ha trovato il tempo e la forza?

Grande e instancabile comunicatore della buona novella, san Paolo è stato nella sua stessa carne l’esempio di come la fede in Gesù Cristo figlio di Dio possa trasformare la persona. E le modalità in cui la fede si è manifestata dentro di lui lo rendono particolarmente vicino all’uomo di oggi. Sulla strada verso Damasco, quando una forza misteriosa lo getta a terra e una luce lo avvolge, Paolo si chiama ancora Saulo e non solo non è cristiano ma sta andando a imprigionare i seguaci di Gesù perché così gli è stato ordinato.

Nato a Tarso, città spiccatamente cosmopolita, Saulo (in onore del re Saul) è figlio di un commerciante ebreo ma ha diritto alla cittadinanza romana. Per questo porta anche il nome latino di Paolo. Quella che riceve è una perfetta educazione ebraica in ambiente ellenistico. Va a studiare a Gerusalemme e parla l’ebraico, ma impara anche il greco. Non incontra mai Gesù perché negli anni della sua predicazione non è a Gerusalemme. Sappiamo però che vi fa ritorno dopo la crocifissione e che è presente alla lapidazione di Stefano, il primo martire, perché gli viene affidato il compito di tenere gli abiti di coloro che lanciano le pietre. Attivo fariseo, con diritto di voto nel sinedrio (il tribunale ebraico), Saulo è un persecutore zelante dei cristiani: li cerca, li scopre e li fa condannare.

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Eppure proprio in un uomo come lui il Signore si fa presente in modo tanto misterioso quanto vigoroso. E per Paolo la conversione diventa subito missione. Nel momento in cui si sente interpellato, avverte il bisogno di annunciare il dono che ha ricevuto.
Saulo-Paolo, educato da giudeo, cittadino romano, conquistato da Cristo, sembra incarnare l’uomo contemporaneo, caratterizzato da diverse identità. E tuttavia la sua non è una fede debole. Una volta ricevuta la consegna, mette questa sua versatilità a disposizione dell’annuncio. Cerca luoghi di incontro fra culture diverse, parla con tutti, si scontra con mentalità piene di superstizione, fa i conti con i riflessi più commerciali del culto religioso, si mescola totalmente con la gente che incontra.

Tutto ciò lo mette spesso nei guai, ma i problemi gli derivano anche dai suoi stessi seguaci. Le comunità che fa nascere tendono a dividersi in gruppi e movimenti diversi, e c’è anche chi lo contesta. Per esempio, non manca chi riduce il cristianesimo a filosofia, tendenza naturale nel mondo greco, e allora ecco che Paolo ripropone con forza il messaggio della croce e della risurrezione dei morti.

Bastano questi brevi cenni per capire come l’indizione di un anno paolino, nel bimillenario della nascita dell’apostolo delle genti (collocata dagli storici fra il 7 e il 10 d.C.), possa essere considerata un’occasione provvidenziale per riflettere, alla luce della vicenda di Paolo e dei suoi insegnamenti, sull’attualità del suo esempio e sul modo in cui annunciare la fede oggi.
Numerosi saranno gli eventi liturgici, culturali ed ecumenici, così come le iniziative pastorali e sociali ispirate alla spiritualità paolina.

Si tratta, ha detto il Papa, di far conoscere sempre meglio la ricchezza immensa di quello che può essere considerato un “vero patrimonio dell’umanità redenta da Cristo”. Ma un particolare aspetto dovrà essere curato, ha chiesto il Pontefice, con attenzione e amore: la dimensione ecumenica, perché l’apostolo delle genti non solo si è impegnato a portare la buona novella a tutti i popoli, ma “si è totalmente prodigato per l’unità e la concordia di tutti i cristiani”.

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La tomba di San Paolo nella basilica a lui dedicata
a Roma.

Durante l’anno paolino la cappella della basilica di San Paolo che ospita il battistero sarà destinata a luogo di preghiera per tutti i cristiani, qualunque sia la loro confessione. Vi potranno accedere i gruppi in pellegrinaggio e sarà possibile pregare anche con i cattolici. Va sottolineato che l’altare posto lì contiene i resti di san Timoteo di Antiochia, martirizzato nel 311, e di altri ignoti martiri del IV secolo. Tutto ciò non è casuale. Il battesimo è il sacramento che unisce tutti i cristiani, e i martiri dei primi secoli testimoniano la Chiesa ancora indivisa.

Paolo nel suo peregrinare missionario toccò moltissimi luoghi e altrettanti saranno quelli coinvolti nell’anno del bimillenario: dalla Siria alla Turchia, dalla Grecia a Israele, dalla Palestina a Cipro, da Malta all’Italia. Ma il punto di riferimento per tutti sarà ovviamente Roma. Non solo perché lì c’è la tomba dell’apostolo, ma perché Roma è a sua volta simbolo di unità, il luogo in cui l’impegno e il sacrificio dell’apostolo arrivano a sintesi.

Nella basilica di San Paolo fuori le Mura il Papa aprirà l’anno paolino il 28 giugno 2008 e lo chiuderà il 29 giugno 2009. Lì sarà aperta una porta dedicata all’apostolo, simmetrica rispetto alla porta santa, e il pontefice insieme a rappresentanti di altre confessioni cristiane sarà il primo ad attraversarla. Lo stesso faranno i pellegrini che la varcheranno dopo di lui per raggiungere il sarcofago di Paolo, posto un metro e trenta al di sotto dell’attuale pavimentazione e reso visibile da una lunga serie di lavori incominciati sei anni fa.

Fra le tante iniziative pensate per il bimillenario (liturgie, convegni, mostre, concerti, pellegrinaggi, pubblicazioni) vanno sottolineati gli incontri periodici previsti con diverse categorie sociali: con i religiosi, i missionari, i sacerdoti, le parrocchie, i carcerati, gli studenti, i malati, i giovani, le famiglie, i senza casa, i cristiani delle altre confessioni. Probabilmente Paolo avrebbe apprezzato questa apertura e questo desiderio di scambio. Lui fu animato dallo stesso fuoco, che gli diede persino la forza di portare l’annuncio di Cristo nel cuore della cultura dominante dell’epoca, all’areopago di Atene. Proprio lì, dove sentiva di essere più che mai sotto esame, parlò di un Dio che muore e risorge, l’annuncio più sconvolgente e incredibile.

“Ti ascolteremo su questo un’altra volta” gli risposero gli ateniesi alzando le spalle e andando via, come si fa nei confronti di un pazzo visionario. Una sconfitta, apparentemente. Ma la testimonianza venne data anche lì, e senza annacquarla. I pellegrini che nella basilica di San Paolo alimenteranno la “fiamma paolina”, in un braciere che arderà per tutto l’anno, dovranno ricordarsene. “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10). Paolo riassunse così, con una delle sue formulazioni folgoranti, la “rivoluzione” di un Dio che si fa annientare per amore. Duemila anni dopo resta il più insondabile dei misteri. Ma, per chi accetta di lasciarsi interpellare, è anche la fonte della più grande libertà.




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