Poi mi passa

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

Vignetta sulla rabbia di un automobilista bloccato nel trafficoGià, ma quando passa è come dopo il passaggio di Katrina: per restaurare le rovine ci vuole tempo, pazienza e amore. Purché poi non riprendano altri “cinque minuti”...
Molto semplicemente, i nostri Padri nella fede del IV secolo chiamavano questo sentimento “collera”. Ma avere pensieri di collera anche violenta verso qualcuno non lo consideravano “peccato”: che un pensiero molesti o non molesti l’anima, dice Evagrio, non dipende da noi. Ma se questo pensiero mette radici e ci scatena verbalmente o fisicamente contro qualcuno, questo sì, dipende da noi. Dipende da noi se un semplice pensiero si trasforma in “passione”. Vuol dire che gli abbiamo permesso di farlo: questa è nostra responsabilità.

Anzi, di per sé la collera ha una radice positiva. Abitando per sedici anni nella solitudine e nel silenzio, Evagrio era diventato uno specialista nel discernimento dei movimenti interiori dell’anima. Si era risolto alla scelta del deserto a causa di un intrigo di corte che gli aveva spezzato una brillante carriera ecclesiastica ed intellettuale: le conseguenze della “passione” le pativa sulla pelle. Per Evagrio nell’uomo ci sono energie potenzialmente buone: c’è il nous, cioè la ragione, l’intelligenza; c’è il thumos, cioè il coraggio, la generosità, e c’è l’epithumia, cioè il desiderio, quello che Freud chiama “libido”. La collera non è altro che il thumos pervertito, cioè una sorta di alterazione del coraggio e della generosità. Insomma è una energia buona che, passando attraverso il cuore umano, si trasforma in energia cattiva. Cosa vi trova per cambiare così?

Icona di San Giovanni DamascenoSan Giovanni Damasceno era un arabo cristiano, una sorta di ministro delle finanze del califfo di Damasco, con il quale aveva giocato da bambino; collaborava pacificamente con i dominatori musulmani, e considerava l’islam un’eresia cristiana. Prima o poi però la sua critica “dall’interno” qualche guaio glielo aveva procurato: si era ritirato anche lui in monastero e vi era morto centenario. Per Giovanni, se l’energia buona si trasforma in cattiva è perché nel cuore dell’uomo trova la filautìa, l’egocentrismo, il fare del proprio “io” la misura di tutto il mondo. L’uomo, dice, non commetterebbe alcuna colpa, se non fosse braccato dalla filautìa.

Icona di San Massimo il Confessore San Massimo il Confessore era nativo di un villaggio del Golan. Rimasto orfano a nove anni, affidato ad un monastero palestinese, era sfuggito all’invasione persiana rifugiandosi in un monastero prima a Costantinopoli poi a Cartagine. Monaco per obbligo, era diventato con il tempo monaco per scelta, e grande teologo. Per lui, se le energie vitali si trasformano in passioni distruttrici, la causa è la paura nascosta della morte. In fondo è la stessa cosa: l’uomo ha paura della morte perché la morte distrugge definitivamente l’idolo che lui ha fatto di se stesso.
Dov’è allora il rimedio? Il rimedio è nella memoria: memoria della morte e memoria di Dio. Questa memoria frantuma la pietra del cuore, lo trasforma in cuore di carne, fa dono delle lacrime di pentimento.

C’è una leggenda russa che immagina così la memoria della morte. Dio manda un angelo al capezzale di un agonizzante per prendere la sua anima. Ma quando giunge al capezzale del morente, l’angelo è richiamato presso Dio, e l’uomo non muore. Ma l’angelo ha le ali coperte di occhi. Volando via, due occhi cadono dalle sue ali e si vanno a incastonare negli occhi dell’uomo. Quando si risveglia, l’uomo vede la realtà con altri occhi, con distacco e infinita dolcezza per gli altri uomini, per gli animali e per tutte le cose. Sono gli occhi della memoria di Dio e della memoria della morte: gli occhi di chi non ha più paura, perché non fa più del proprio “io” il centro del mondo.

Flaminia Morandi
NP ottobre 2005

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