Sto qui, vi aspetto

Pubblicato il 09-08-2012

di Ernesto Olivero

di Ernesto Olivero - Quando sono nato mi sono sentito subito l’atteso. Non mi sono mai sentito l’intruso o il sopportato. Sono cresciuto con quest’idea nel cuore. Ma quando ho messo il naso fuori di casa, la scuola mi ha tagliato le gambe. È stata la mia prima lotta, tremenda. Mi ha rotto le ossa, ma non tutte.
Nella vita sono entrato da ultimo, da bocciato, da bollato: uno che non sapeva niente di niente, matematica, italiano, peggio che mai le lingue straniere. A 20 anni, più o meno, ho incontrato un uomo vestito di bianco, uno che veniva dalla Francia, da Taizé. Un volto bello, una voce bella. Eravamo in tanti, quel giorno, ma io credevo che lui fosse lì solo per me. Lo contemplavo ed ero convinto che lui mi guardasse. Diceva: un pugno di giovani può cambiare una città. Lui era credibile, io ero un ragazzo. Pochi anni dopo fui io a dire a un pugno di ragazzi ciò che quello sguardo bello mi aveva comunicato, e da allora continuo a crederlo e a dirlo: si può cambiare il mondo, a cominciare dalla propria città.

Ma oggi voi, poveri ragazzi, chi incontrate? Chi vi aiuta a credere che un mondo nuovo è possibile? Persone che dall’alto del loro vuoto vi dicono che la droga è attraente, lo sballo è bello, la colpa sempre degli altri, rubare è riprendersi il dovuto, fare quello che vi pare è un dovere, l’amore si può fare con chiunque, finché dura. Vi portano perfino in casa o sotto casa il gioco d’azzardo che vi scippa e vi prosciuga il cuore.

Come fate a crescere con questi maestri, creature di Dio? Mi metto nei vostri panni. Io mi ci trovo bene nei vostri panni. Però mi viene una gran paura per voi. Eppure, in mezzo a questo fango, ci sono tanti fra voi che vogliono cambiare il mondo cominciando da loro stessi. Ci sono, eccome, questi coraggiosi.

Che vi devo dire, amici miei? Non è a voi che dovrei scrivere. È agli adulti che vi hanno consegnato questa società in cui uno è più bravo se si fa gli affari suoi, se passa sul cadavere di un altro per arricchirsi ed emergere. Cosa importa se milioni di persone muoiono di fame, se trovare lavoro è impossibile, se costruirsi un futuro a voi è vietato, a causa dell’avidità di qualcuno! Allora, ragazzi, infischiamocene davvero: infischiamocene noi dei tromboni, dei vuoti, dei prepotenti, degli avidi che vi stanno scippando la vita. Rifacciamoci da noi una vita nuova dove noi, intanto almeno noi, non facciamo all’altro ciò che non vorremmo fosse fatto a noi. Infischiamocene scoprendo che è bello non mentire a noi stessi e agli altri, che è bello condividere anche il poco che abbiamo, stare con un disabile come se non fosse disabile, con un carcerato come se fossimo noi ad essere in galera, con l’ultimo degli ultimi leggendo nei suoi occhi il re che è in lui.

A noi con le mani sporche e il cuore pieno di un sogno, a noi con le ossa spezzate ma non tutte, a noi disoccupati ma impegnatissimi, a noi poveri ricchi, a noi spetta di scrivere una bella storia d’amore.
Un amore dove il male è quello che ci assedia dentro ma che non ci domina, dove ogni sì è leale e per sempre, dove si può essere fedeli e onesti, uniti a tutti anche se non capiti e felici, semplicemente felici.
Facciamoci coraggio insieme, amici miei. Picasso diceva: “Occorrono molti anni per diventare giovani”. Io mi sento sempre più giovane. Mi sento come voi e con voi. Sto qui, vi aspetto e vi voglio bene.

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