Insisti e persisti

Pubblicato il 24-01-2013

di Flaminia Morandi

Non c'è che il lavoro, l'efficienza e la qualità per "arrivare", guadagnarsi un posto al sole o, come si dice oggi, ottenere "visibilità": senza la quale si può avere il sospetto di non esistere.
Anche per i cristiani il lavoro è parte integrante della vita spirituale, un modo per rendere grazie a Dio nella vita di tutti i giorni; farlo bene e con efficienza è una forma della bellezza a Lui dovuta. Confusi nel mondo, i cristiani hanno un problema in più rispetto agli altri: "essere visibili", "arrivare" mantenendo aperto il canale di comunicazione con Dio, che incessantemente chiede una capriola di mentalità.

Ermanno di Reichenau era nato deforme e deficiente, così inutile e senza futuro che venne spedito in un monastero sperduto sul lago di Costanza. Lì Ermanno crebbe con tutto il tempo, l'amore e la calma attenzione di decine di monaci. Deficiente com'era, incapace di parlare, perfino di stare seduto o sdraiato su un letto, Ermanno imparò la matematica, il greco, l'arabo, il latino, l'astronomia e la musica. Diventò così sapiente da scrivere egli stesso una storia del mondo. Nella prefazione si scusava: lui, lento come un ciuco anzi come una lumaca, era stato indotto a scrivere a furia di preghiere.

Molti secoli prima di Ermanno era vissuto Serapione che, al contrario, era un padre del deserto molto attivo, sempre in cammino. Cammina cammina un giorno arrivò nella cella in cui viveva un monaco recluso. Lui così efficiente e sempre in giro si scandalizzò in cuor suo di quella inattività e gli chiese con tono di rimprovero come faceva a stare tutto il giorno seduto, senza fare niente. "Ma io non sto affatto seduto", rispose il monaco recluso, "io sono in cammino. Nessun viaggio è così lungo e stressante come quello di chi scende nel profondo del proprio cuore".

La celebre cattedrale della piazza Rossa dalle colorate cupole a bulbo non è dedicata a san Basilio il Grande, colto maestro di teologia, vescovo, bensì a un altro Basilio, detto il Beato, che dormiva all'aperto, viveva di carità, tirava pietre alle finestre del monte dei pegni (le banche di allora) perché vedeva dei diavoli aggrappati ai suoi muri e baciava le soglie delle case delle prostitute perché vedeva un angelo che le custodiva. Al mercato ci andava solo per prendere la roba dai banchi dei mercanti e distribuirla alla gente che passava: senza che la polizia osasse toccargli un capello, tanta era la venerazione che la gente gli portava.

Skovoroda sembrava incarnare tutte le qualità necessarie al suo secolo, il secolo dei Lumi. Filosofo, aveva studiato nella celebre accademia di Kiev, sapeva alla perfezione il greco e il latino, conosceva Clemente d'Alessandria, Dionigi l'Areopagita, Massimo il Confessore e i Padri Greci. Ma soprattutto leggeva la Bibbia. Il vescovo gli aveva proposto una brillante carriera ecclesiastica. Il rettore dell'Accademia di Teologia di san Sergio gli aveva offerto una cattedra. Skovoroda aveva gentilmente rifiutato e si era messo per strada. Passava da un villaggio all'altro, da una fattoria all'altra vivendo di carità e portando il suo sorriso, buoni consigli, compassione per i malati e per gli angosciati. Infine era morto solo su un lettuccio di fortuna, le mani giunte e un'espressione serena.

La tradizione orientale ortodossa ne conosce tanti come lui: vagabondi mistici senza luogo e senza mèta, senza casa e senza lavoro, capaci di mangiare salsicce di venerdì santo, girare nudi o con i vestiti a rovescio, insomma di vivere in aperto contrasto con il buon senso corrente e con le stesse regole ecclesiastiche. E' in questa "follia per Cristo" che gli jurodivyje, illetterati o anche intellettuali convertiti, ricordano al mondo l'inutile necessario: il cammino verso l'incontro con Dio, unica e sola mèta della nostra vita. La chiesa orientale ne conta così tanti che uno dei suoi tre stili di missione (oltre allo studio della lingua locale e alla missione che segue l'espansione politica) è proprio "la strada": gli infiniti orizzonti dei vagabondi pellegrini, l'andare senza tempo degli eremiti.

Chi poi volesse misurare l'efficacia di questo stile missionario scoprirebbe che in Libano, sulla tomba di san Charbel Makhlouf, insieme ai cristiani vanno in pellegrinaggio i musulmani. San Charbel in vita era stato solo un povero eremita, che muoveva solo le labbra nella preghiera incessante, incapace perfino di fare miracoli.
Invece evidentemente era "arrivato": e l'incontro con Dio gli permette oggi, a tanti anni dalla sua morte, di compiere straordinari miracoli di guarigione.


Flaminia Morandi
NP aprile 2004

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