Di padre in figlio

Pubblicato il 03-10-2023

di Stefano Caredda

l mesi trascorsi hanno ancora una volta acuito le difficoltà e le vulnerabilità presenti nella società italiana: una fragilità di fondo che si ripercuote soprattutto fra quelle persone che non possono contare su un paracadute (quale esso sia) di fronte a un’avversità o a una congiuntura lavorativa o relazionale negativa.

La povertà assoluta – lo testimoniano ormai anni e anni di indagini statistiche – è nel nostro Paese un fenomeno strutturato e in preoccupante aumento: solo 15 anni fa riguardava appena il 3% della popolazione, salito fino al 9,4% certificato dall’Istat lo scorso autunno. Un incremento dovuto alle gravi crisi globali attraversate a partire dal 2008, dal crollo di Lehman Brothers alla crisi del debito sovrano, fino alla pandemia da Covid, a cui si aggiungono ora gli effetti del conflitto in Ucraina che stanno impattando pesantemente su crescita, inflazione e scambi commerciali. Il dato di 5 milioni 571mila persone in stato di povertà assoluta (erano 1,8 milioni solo tre lustri fa) è riferito all’anno 2021, e la nuova rilevazione che l’Istat pubblicherà presto sui dati del 2022 è attesa con timore perché potrebbe certificare un ulteriore aumento del fenomeno.

Fra i tanti, c’è un elemento che, sul lungo periodo, dovrebbe preoccupare non poco ed è quello della cosiddetta “trasmissione intergenerazionale della povertà”, che in Italia è più intenso che nella maggior parte dei Paesi dell’Unione europea. In pratica, è il fatto che nel nostro Paese la povertà è una condizione che si eredita: chi nasce povero, tende a restare tale. Oggi quasi un terzo degli adulti tra i 25 e i 49 anni a rischio di povertà proviene da famiglie che versavano in condizioni finanziarie critiche. Un problema di giustizia sociale che va oltre il mero bisogno congiunturale e che ci interroga sul come si sta costruendo il futuro della nostra società.

Peraltro, non ci sono davvero dei possenti aggiustamenti in corso: come noto, alcune delle voci di spesa pubblica rivolte a bambini e ragazzi sono in Italia più basse rispetto a quelle dei paesi europei. La spesa pubblica per istruzione in rapporto al pil mostra il minore impegno del nostro Paese rispetto alle maggiori economie dell’ue27 (4,1% del pil in Italia nel 2021 contro il 5,2 in Francia, il 4,6 in Spagna e il 4,5 in Germania) e in generale rispetto alla media dei paesi ue27 (4,8%). Inoltre, l’Italia spende per le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori una quota rispetto al pil molto esigua, pari all’1,2% a fronte del 2,5% della Francia e del 3,7% della Germania.

Come quello relativo alla natalità, con tassi costantemente in calo e un impatto devastante sui futuri conti pubblici, anche il fenomeno della povertà educativa e della povertà assoluta di bambini e ragazzi è tanto ben conosciuto a livello teorico quanto mal contrastato a livello pratico. Non che manchino iniziative ed esperienze, ma su larga scala si fa ancora troppo poco. È il problema strutturale di un’Italia che fa fatica a trovare un ampio consenso politico sui passi da compiere per almeno attenuare gli effetti negativi che il Paese si troverà ad affrontare nei prossimi decenni.


Stefano Caredda
NP agosto / settembre 2023

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