DNA speranza

Pubblicato il 19-04-2024

di Redazione Sermig

Siamo agli inizi degli anni ‘70. Una signora mette in risalto una caratteristica del Sermig. Ernesto Olivero lo fa presente a Giovanni Paolo II: «Già da alcuni anni l’Italia era scossa dalla contestazione giovanile e dal terrorismo […]. Sentivamo di essere una presenza ferma contro la violenza, ma serena verso la gente e di esserlo non nel chiuso delle nostre chiese, ma nelle piazze, nei luoghi di incontro, di protesta e di rivendicazione. Avevamo scelto il silenzio. Il semplice ritrovarsi nella piazza la trasformava in una chiesa a cielo aperto e portava così la preghiera tra la gente. Era stato un segnale che tante persone avevano recepito. Dopo una di queste grandi veglie nella piazza più grande di Torino, una donna era venuta a cercarmi e ci aveva ringraziato: Grazie perché voi ci date speranza. La conferma di questo “carisma” veniva proprio dal Papa in un incontro il 24 gennaio 1979: ci aveva dato il mandato di tirar fuori la speranza assopita nel cuore dell’uomo».

Speranza per affrontare disperazione, angoscia, paura che immancabilmente caratterizzano i tempi di crisi, come quello che stiamo vivendo qui noi oggi. Il Sermig aveva scelto di non denunciare le ingiustizie sociali e mondiali coinvolgendo la gente con manifestazioni chiassose e violente, ma di incontrare la gente con pacatezza, con il dialogo, con la concretezza di proposte per venire incontro a chi vive nella miseria, con la testimonianza di una vita che ha messo Dio e i poveri alla base delle proprie scelte. Piazze, teatri, palazzetti vengono utilizzati per incontrare la gente con mostre, con la partecipazione di “maestri”. Significativo un incontro al gremito palazzetto dello sport di Torino il 13 maggio 1973: Pomeriggio di speranza, di preghiera, di ascolto.

Era la prima volta che Ernesto parlava in pubblico. Ha iniziato il suo intervento così: «Realtà innegabile è che la società contemporanea attraversa una crisi di valori. Il benessere, per molti, traguardo massimo da raggiungere passando su tutto e su tutti. L’individuo pone se stesso al centro di ogni interesse. Minoranze potenti si impongono alla moltitudine degli uomini. In questo contesto si innesta il messaggio di Cristo, che è messaggio di liberazione, perché è messaggio di Amore…». Erano anche gli anni del terrorismo, nero e rosso. Senza dimenticare la grave crisi petrolifera che aveva innescato il virus della paura. Una seconda nota. Il titolo dell’incontro aveva attratto una persona disperata, poi diventata una colonna del Sermig, che aveva appeno perso moglie e bimbo che portava. Il giorno dopo aveva voluto incontrare Ernesto.

Come Sermig si è attraversato quel periodo non con il desiderio di convertire, di condannare le azioni ma aiutare chi le compiva a capire i propri errori. Negli anni questa impostazione che escludeva la chiusura della mente ha permesso al Sermig di coinvolgere alcuni detenuti in una cooperativa di lavoro. Il Sermig ha imparato e cercato di vivere l’uso di quella chiave che apre cuore mente occhi orecchie al mondo e introduce alla speranza. Che diventa concretezza di scelte e di vita. La speranza è una porta che si apre e non si chiude più. La porta del Sermig è sempre aperta.

Redazione Sermig
NP Marzo 2024

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