I due Brasile

Pubblicato il 30-04-2023

di Lucia Capuzzi

Brasilia, primo gennaio 2023. Aline Sousa, riciclatrice di rifiuti di 33 anni, ha salito le scale del Planalto per consegnare la fascia presidenziale a Luiz Inácio Lula da Silva in sostituzione del predecessore sconfitto Jair Bolsonaro, partito in tutta fretta in Florida per non partecipare all’evento.
Accanto a lei, Francisco, 10 anni, bimbo di una favela di San Paolo, l’operaio Weslley Rodrigues, il leader indigeno Raoni Metuktire, il docente Murilo de Qadros Jesus, la cuoca Jucimara Fausto dos Santos, il militante Flávio Pereira e il disabile Ivan Baron. Sette donne e uomini di differente estrazione, cultura, origine geografica e etnica in rappresentanza del popolo-poliedro del Brasile nel quale, proprio come in questo gruppo, predominano gli esclusi.

Brasilia, 8 gennaio 2023. Lo stesso popolo brasiliano – eppure al contempo, un popolo altro – ha fatto irruzione su quelle scale per vandalizzare il Planalto, il Parlamento e la Corte Suprema per rivendicare l’immaginaria vittoria di Bolsonaro. Tra le due immagini era trascorsa appena una settimana. Il tempo della politica, però, non sempre coincide con il tempo della cronologia.

Lo scarto tra i due orologi è l’espressione della ferita profonda che dilania la carne del Gigante del Sud. In cui convivono, almeno da quattro anni, due nazioni non comunicanti. Una, quella del Brasile reale, che combatte con la povertà a quota 30%, con il ritorno della fame con cui fanno i conti 33 milioni di persone, con la corruzione, la distruzione dell’Amazzonia da parte delle mafie della terra. L’altra è il Brasile della post-verità di cui è prigioniera la folla che ha attaccato le sedi istituzionali di Brasilia. Per quest’ultima, il pericolo è “l’abisso rosso”, un fantomatico comunismo che, dopo aver frodato il voto, vuole impadronirsi del Paese. Le sue azioni sono così velleitarie da ingaggiare una battaglia feroce quanto persa in partenza. L’azione è stata preparata con tempo e risorse economiche. Proprio il flusso di soldi è la pista seguita dagli inquirenti. Ed è stata portata a termine grazie a una serie di connivenze e complicità che ora toccherà alla magistratura individuare e perseguire. Nonostante il dispendio di mezzi, tuttavia, l’attacco alla democrazia non ha resistito più di cinque ore. Il presidente ha dichiarato l’intervento federale, il governatore di Brasilia, Ibaneis Rocha, è stato sospeso e messo sotto indagine, il capo della polizia, Anderson Rocha, è finito in cella con l’accusa di complicità insieme a centinaia di vandali, i poteri legislativo e giudiziario si sono schierati con decisione al fianco di Lula, a difesa della democrazia. Il mondo, USA in testa, si è stretto intorno al governo entrante.

La democrazia brasiliana è più forte o più debole? L’interrogativo tormenta analisti e commentatori dopo l’assalto alle sedi delle istituzioni a Brasilia. La risposta non è univoca. Di certo, la solidarietà interna e internazionale incassata rappresenta una finestra di opportunità per il presidente. A Orlando, dove si trova da un mese, Bolsonaro appare sempre più isolato. Washington ha già fatto sapere che, essendo entrato con visto diplomatico, dovrà chiedere un nuovo permesso o lasciare il Paese. In patria, però, oltre alle numerose inchieste sulla gestione del Covid, è sotto indagine delle Corte Suprema per complicità nell’attacco di Brasilia. Lula, al contrario, ha guadagnato alleati.

Alla guida del progressista Partido dos trabalhadores (PT), ha vinto, lo scorso 31 ottobre, con una coalizione ampia che va dai conservatori moderati alla sinistra. Un’alleanza delle forze anti-autoritarie – incluse quelle della destra –, l’avevano chiamata che, tuttavia, fino a domenica, esisteva solo come strategia elettorale. Tanto che il governo era stato definito un corpo amorfo dal numero record di 37 ministeri, al cui vertice si trovano figure con obiettivi divergenti. L’attacco perpetrato dai sostenitori dell’ex presidente ha dimostrato la concretezza della minaccia golpista, trasformando l’idea del fronte democratico in necessità. Con le macerie della presidenza, del Parlamento, della Corte Suprema, si è forgiata l’Amministrazione del “Lula III”.

La sua finestra di opportunità è, tuttavia, stretta. Molto stretta. La spaccatura nel Paese è reale e la polarizzazione massima. Ricomporre la ferità è solo una delle sfide del nuovo esecutivo. La povertà è aumentata, fino a includere il 30% della popolazione, il record del decennio. E la fame è tornata: in 33 milioni ne sono vittima. Il deficit primario equivale al 77% del Pil, dodici punti in più rispetto alla media dei Paesi emergenti. In questo scenario poco favorevole – con i contraccolpi della crisi ucraina sullo sfondo – Lula dovrà cercare di adeguare all’attualità Bolsa familia, il programma “stella” che durante i suoi precedenti governi sottrasse alla miseria trenta milioni di brasiliani. E dare un contenuto ambientale alle proprie politiche sociali, a cominciare dalla protezione dell’Amazzonia, dove la deforestazione è cresciuta del 60% negli ultimi quattro anni.

Ogni giorno, nel corso del 2022, la foresta ha perso una superficie equivalente a tremila campi da calcio a causa dell’azione non di semplici “accaparratori di terre” bensì di potenti organizzazioni criminali che operano all’ombra di politici e imprenditori, nazionali e internazionali. Per contrastarle il governo dovrà rimettere in piedi il sistema di tutele ambientali smantellato, pezzo dopo pezzo, negli anni di Bolsonaro. La scelta della nota ecologista Marina Silva al ministero dell’Ambiente indica l’intenzione di farlo. Del resto, il presidente sa che la foresta e il clima sono la porta di entrata per il Brasile nel club dei Grandi all’interno del quale punta a tornare – dopo la fama d’inizio Duemila – come voce del Sud globale. Il successo della prova generale alla COP27 di Sharm el-Sheikh, scelta da Lula per l’esordio internazionale prima ancora prima dell’entrata in carica, lo induce a proseguire su questa strada. O, almeno, a provarci. Un primo segnale è incoraggiante. Il Brasile ha candidato la città amazzonica, Belém do Pará, come sede del vertice ONU sul clima del 2025 (COP30).


Lucia Capuzzi
NP febbraio 2023

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