Indispensabili

Pubblicato il 24-04-2023

di suor Dalmazia Colombo

Il mondo dei lavoratori domestici e l’assenza di politiche sociali adeguate

Sono colf e badanti, tate e baby-sitter, ma anche camerieri, cuochi, giardinieri, custodi, portieri e autisti, quando il loro lavoro è svolto al servizio esclusivo o prevalente di una famiglia. Donne e uomini che tutti insieme costituiscono la platea dei lavoratori domestici, o collaboratori familiari: in Italia sono circa 2 milioni di persone. Di questi, ancora oggi meno della metà sono in regola, cioè hanno stipulato un vero contratto di lavoro.

Un numero che è sì aumentato negli ultimi anni (secondo i dati INPS i lavoratori regolari del settore nel 2021 erano oltre 960mila, +12% rispetto a due anni prima), ma che lascia comunque a questo ambito lavorativo il triste primato del tasso di irregolarità più alto, stimato al 52,3% contro una media nazionale del 12%. Sebbene quindi la componente irregolare sia calata dal 2020, il fenomeno del sommerso rimane molto diffuso.

Il Rapporto realizzato da Domina (Associazione Nazionale Famiglie Datori di lavoro Domestico) fotografa un settore caratterizzato da una forte presenza straniera (70% del totale), soprattutto dell’Est Europa, e da una prevalenza femminile (85%), anche se negli ultimi anni si è registrato un aumento sia degli uomini che della componente italiana. Le lavoratrici donne straniere sono il gruppo più numeroso (57,5%); le donne italiane sono comunque oltre un quarto del totale (27,4%); il 12,4% dei domestici è rappresentato da uomini stranieri, mentre gli uomini italiani sono il 2,6%. Sull’altro versante ci sono i datori di lavoro, che in questo caso particolare sono le famiglie: complessivamente oltre un milione.

Con l’arrivo del 2023, per una fetta importante dei lavoratori domestici è arrivato un aumento di stipendio, previsto dal contratto collettivo nazionale come adeguamento all’inflazione: si tratta di un salto del 9,2%, che nei fatti riguarda non tanto il personale pagato “a ore” ma essenzialmente quello impiegato a tempo pieno, convivente o meno: ad esempio la badante che vive stabilmente con un anziano non autosufficiente o la baby sitter che lavora 40 ore a settimana con un bambino sotto i 6 anni. Le simulazioni parlano, per queste figure, di aumenti intorno agli 80-120 euro al mese.

E qui c’è un problema: «Se da una parte – argomentano le ACLI, organizzazione molto attenta al lavoro domestico – gli aumenti di stipendio per chi si occupa di lavoro di cura sono legittimi e assolutamente giusti, dall’altra parte non è stata presa nessuna contromisura per venire incontro alle famiglie che si trovano spesso in situazioni già molto pesanti e complicate, non solo economicamente. Non si può trasformare la questione in una guerra tra poveri, ma è necessario chiamare in causa il grande assente, lo Stato, perché gran parte del lavoro domestico copre l'assenza delle politiche di welfare, in particolare sulla non autosufficienza e sui servizi alle famiglie e all'infanzia. Il lavoro domestico è, in altri ter[1]mini, un bene pubblico che non può essere scaricato tutto sul rapporto famiglia-lavoratrice o lavoratore». Un tipico esempio di come adeguate politiche sociali siano oggi sempre più indispensabili.

Come ricordano le ACLI, gran parte del lavoro domestico copre l'assenza delle politiche di welfare, in particolare sulla non autosufficienza e sui servizi alle famiglie e all'infanzia

Stefano Caredda

NP Febbraio 2023

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