Insieme per la pace

Pubblicato il 16-12-2023

di Guido Morganti

Il termine “comunità” è il contenitore di tutti quei valori che il Sermig ha cuciti sulla pelle.
Subito mi è venuto in mente quando nella nostra vita di giovani entusiasti eravamo un gruppo, sempre pronto a inventare iniziative al fine di reperire fondi da destinare agli amici missionari. Tra queste la Cena del digiuno e la Giornata lavorativa, proposte per stimolare la gente a introdurre nella propria vita sempre più i valori della condivisione e della giustizia. Era il nostro modo di “farsi prossimo”. Ma diventava impellente qualcosa di più.

In un documento del Sermig datato settembre 1970 si coglie che il passare da gruppo a “comunità” era già posto da tempo e c’era l’esigenza di un ripensamento per concretizzare la proposta di formare una comunità centrale di riferimento e di unità per tutti i gruppi da cui allora era formato il Sermig. In una lettera di Ernesto Olivero del 14 settembre 1976, si legge: «Dobbiamo diventare di più comunità, essere una immagine gioiosa di famiglia a cui fare riferimento. […]
Penso stia anche maturando il momento in cui, alcuni ragazzi e ragazze, che si sentano chiamati, prendano in considerazione la possibilità di consacrare la loro vita a livello vocazionale per Dio con il Sermig, affinché possano nascere fra di noi veri perni […]. Il nostro stare insieme non deve essere tanto alla luce della “compagnia”, allo stare bene tra di noi, ma alla luce della frase di Gesù “amatevi come io vi ho amati”».

Si tratta di una svolta fondamentale degli inizi anni settanta che porta il gruppo a prendere coscienza di essere comunità.
Alcune ragazze – interessante, le donne sempre in prima fila! – fanno la parte di Maria più che di Marta. Lidia confida a Ernesto che non si sente chiamata dal Signore solo per “affaccendarsi” e alcune ragazze, durante l’incontro del sabato nella sede di Viale Thovez, scelgono di starsene nella chiesetta in adorazione piuttosto che partecipare all’incontro organizzativo.
Ernesto capisce che è il momento di una svolta. Le attività diventano il frutto dell’ascolto della Parola e dell’adorazione. Il “martedì” diventa il giorno in cui la comunità si ritrova pubblicamente per pregare, il ritiro mensile diventa una prerogativa.

In questo periodo si pongono le basi di quella che in seguito verrà definita come spiritualità della Presenza. Diventa naturale perciò legare insieme lotta attiva e contemplazione. Una lotta attiva che ha come scopo di rendere gloria a Dio realizzando un pezzo del suo regno. Il “farsi prossimo”, le attività varie nascono dal “noi sappiamo per Chi lo facciamo”, la base di quella ricerca che si svilupperà con l’Arsenale nella spiritualità dell’accoglienza.

Diviene come una necessità pregare il Signore mentre altri amici stanno svolgendo un servizio. La vita di comunità ha come effetto di incidere profondamente sulla vita personale di ognuno: si recepisce la vita come dono di Dio e quindi, come risposta al dono, non va sciupata. Non ha più senso perciò parlare di un impegno a tempo: è la vita che deve coinvolgersi tutta quanta in quel “farsi prossimo” diretto e sostenuto dall’ascolto della Parola, dall’adorazione, dalla preghiera.

Tale senso della vita nel Sermig sviluppa la spiritualità della restituzione.
Inizialmente la parola “restituzione” era utilizzata prevalentemente come proposta finalizzata alla giustizia e alla pace (cfr. primo volantino sulla restituzione). Ma la coscienza che la vita è un dono ha portato a dare alla parola restituzione un significato più ampio: l’esigenza di rispondere al dono attraverso il tempo, le risorse spirituali e materiali, i talenti a disposizione da restituire a Dio attraverso il proprio “sì”.
Il Signore ci ha fatto maturare queste convinzioni anche attraverso i poveri, i sofferenti, i disabili. Sono loro che ci hanno fatto capire la forza della spiritualità della restituzione e a coglierne significati profondi.

Il povero contadino del Nord Est del Brasile che partecipa ai progetti dell’Assindes (il nome in portoghese della Cooperativa Internazionale per lo Sviluppo, ideata dal Sermig) ci insegna che la cosa più importante che è riuscito a maturare incontrando il Sermig è la convinzione che anche lui ha qualche cosa di sé da donare agli altri: l’esperienza, un sorriso, la disponibilità… Che la dignità dell’uomo sta nel fatto che è in grado di trovare in sé, sempre, qualcosa da donare agli altri.

Il passaggio da gruppo a comunità e poi a Fraternità ha permesso al Sermig di aprire gli Arsenali, realizzando in modo concreto l’acronimo Sermig (Servizio missionario giovani).
Volersi bene, dialogare, sostenersi, “sopportarsi”, aiutarsi a camminare nella speranza sostenuta dalla fede, credere nella pace… sono obiettivi a cui tendere quotidianamente.

Ma come? Non c'è pace, c'è il "silenzio di Dio", la speranza vacilla.
Con Cristo però tutte le promesse si sono realizzate, già e non ancora (cfr. 2Pt 3,9). A noi spetta collaborare all’incessante opera della redenzione, desiderare il regno di Dio e costruirlo qui, animati dalla Speranza, quella con la S maiuscola, sostenuta dalla fede, una fede certamente favorita dal vivere ed essere comunità/Fraternità.

Sarebbe bello se i valori della comunità/Fraternità che abbiamo sperimentato contagiassero la comunità internazionale!
Si potrebbe intravvedere un orizzonte di speranza e di pace! Tocca a noi costruire un futuro di speranza attraverso una realtà di pace, di giustizia, di solidarietà.
 

Guido Morganti
NPFocus
NP novembre 2023

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