Invictus

Pubblicato il 06-06-2023

di Renzo Agasso

Ci vorrebbe un Mandela. Anzi, più d’uno. In tutti gli angoli di mondo dove l’odio provoca guerra, guerra civile, guerriglia, terrorismo, violenza con e senza aggettivi. Ucraina, certo, ma non solo. Troppa umanità vive (muore) nel terrore delle bombe, dei missili e di tutte le sofisticherie belliche più infernali concepite dalla mente umana.
Si combatte per motivi economici – petrolio e ricchezze del sottosuolo – ma pure per confini, pezzi di terra e di deserto, bracci di mare. E per lotte tribali, etniche, religiose o presunte tali. E quando finisce, restano cimiteri che chiamano pace.
Ci vorrebbe un Mandela. Perché Nelson Mandela ha rifiutato la logica della guerra, scegliendo la pace. Viveva nel Sudafrica dell’apartheid, la separazione tra bianchi (pochi potenti ricchi) e neri (molti deboli poveri). Ha chiesto giustizia e uguaglianza. L’hanno imprigionato e isolato. Per ventisette anni.

L’11 febbraio 1990 sono stati costretti a liberarlo; il vento era cambiato, il mondo non sopportava più l’apartheid sudafricana. Quel giorno, Nelson Mandela è uscito dalla galera, atteso, osannato, portato in trionfo. Aveva il Sudafrica nelle mani. L’eroe che non aveva ceduto, la guida, il capo di un popolo intero, pronto a seguirlo, ovunque lui volesse portarlo.
Bastava un cenno, una parola, un gesto e la moltitudine nera avrebbe travolto la minoranza bianca, sarebbe scoppiato l’inferno, la più atroce delle vendette. Ma Mandela ha sorriso, guidando quindi la sua gente sulla via della pacificazione e della riconciliazione, fermando i violenti, costruendo un Paese di uguali, bianchi e neri insieme, un Paese arcobaleno. L’hanno eletto Presidente, ha vinto il Nobel per la pace.

In carcere lo sosteneva una poesia, continuamente recitata, dal titolo Invictus:
Dal profondo della notte
che mi ricopre
Nera come la fossa
da un polo all’altro
Ringrazio gli dei
qualunque essi siano
Per la mia anima indomabile. Nella stretta morsa
delle avversità
Non mi sono tirato indietro
né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante,
ma indomito.
Oltre questo luogo di collera
e lacrime
Incombe soltanto l’orrore
delle ombre.
Eppure la minaccia degli anni
Mi trova, e mi troverà,
senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano
della mia anima.


Ci vorrebbe un Mandela.
Anzi, più d’uno. Non c’è, non ci sono.


Renzo Agasso
NP marzo 2023

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